Cultura

Il discorso della homeless che ha commosso il Papa

Ieri all'incontro avvenuto alla Caritas di Roma

di Redazione

Ecco il saluto letto dalla signora Giovanna Contaldo ospite dell’Ostello “Don Luigi Di Liegro” a Benedetto XVI, ieri all’incontro avvenuto alla Caritas di Roma. Il papa ha incontrato anche alcuni clandestini. E ha concluso «Senza volontariato non si fa niente».

 

«Perché Dio Le dia la forza di essere sereno e forte e pieno di speranza come lo siamo noi».

«Santità, le parole di questo saluto non sono mie ma nostre. Nel benvenuto filiale che Le rivolgo, Santo Padre, la mia voce dà voce a tutti quei visi e soprattutto a quelle anime che qui in Ostello sono state per un momento o per molto tempo.

Ho memoria ormai lunga di questo posto;  spesso mi trovo a pensare a tutti quelli che in questi anni sono stati qui; molti di loro non sono più con noi ma non ci hanno lasciato per sempre. Abbiamo bisogno di crederlo con tutte le nostre forze.

C’era quello che stava sempre appartato e solo, quello che dipingeva quadri e ci faceva emozionare, quello che non aveva talenti se non quello di saperci entrare nel cuore e non uscirne più. Io stessa quando conobbi l’Ostello ero diversa; la mia storia mi aveva cambiato e qui sono cambiata ancora. Tanto cambiata da poter ricevere la fiducia e la Grazia di potermi rivolgere a Lei.

Vorremmo dare un senso a questo nostro saluto: noi, Santità, Le chiediamo di resistere alle fatiche del mondo, di ricordare che se Le chiediamo di pregare per noi è perché Le garantisco che noi pregheremo per Lei. Perché Dio Le dia la forza di essere sereno e forte e pieno di speranza come lo siamo noi. Qui Lei trova dolore, certamente, ma se dovesse, nel viaggio di ritorno, poter portare con Lei una cosa soltanto, porti, La prego, la speranza.

Santità, abbiamo pensato di donarLe il Cristo proveniente dalla Chiesa di S.Pietro di Onna,  il paese più piccolo e più martoriato nel terremoto d’Abruzzo. Egli ha visto quel luogo cadere sotto la furia del terremoto e ha rinnovato l’offerta di se stesso come progetto di riscatto, come certezza di rinascita. Su quella Croce, spezzata dal terremoto, c’è il dolore di noi che abitiamo l’Ostello, della gente d’Abruzzo, dei piccoli di Haiti,  lo straziante martirio dei padri e delle madri che nella morte dei loro figli rinnovano ogni volta il dolore di Maria. Un dolore inspiegabile, lancinante, ma non disperato. La Croce che Le doniamo restaurata, non è, quindi, l’immagine della sofferenza ma l’attesa dell’alba e del riscatto.

E’ difficile, Santo Padre, pronunciare parole degne di fronte alla Sua sterminata sapienza; accetti allora l’umiltà di un cuore semplice e dell’amore che da esso può venire. Porti con sé l’esortazione a condurre questo gregge a volte così smarrito, così insufficiente, così inadeguato. Un gregge che però è il Suo gregge e che alla sua guida si affida e nella Sua guida confida. E quando i giorni di pioggia si alterneranno ancora a quelli di sole, non pensi a noi ma “anche” a noi, che da qui non cessiamo di inviarLe il nostro saluto fraterno, il nostro amore filiale e il senso profondo di un pane spezzato e condiviso».

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