Cultura

Uniti in divisa

Come si spiega il boom del volontariato con la casacca

di Sara De Carli

Guida la corsa la protezione civile, ma tiene bene
anche il servizio di emergenza in ambulanza. Le ragioni?
Ci si sente indispensabili e la gratificazione è immediata: L’Aquila docet.
E poi c’è il richiamo
di stare in squadra
Se l’haute couture si ispirasse all’urban street, cioè se davvero la moda copiasse la strada, in passerella dovrebbero sfilare tute fosforescenti, fasce catarinfrangenti, anfibi ed elmetti. E non solo a Pitti Uomo; pure a Milano, tra le modelle in guerra contro le scarpe-trampoli di Alexander McQueen.
Il fatto è che in Italia è boom del volontariato in divisa. Prima fra tutte, quella firmata “Protezione civile”: un po’ è l’effetto Abruzzo, ma da tre anni le associazioni che vogliono iscriversi agli elenchi del dipartimento crescono a vista d’occhio. «Al 3 febbraio 2010 sono ben 3.990, con un +23% rispetto al 2007; solo nel 2009 il numero delle organizzazioni iscritte è cresciuto del 7%, con 275 nuove iscrizioni», spiega Roberto Giarola, responsabile del servizio Volontariato del dipartimento di Protezione civile. In tutto fa 800mila volontari. L’esercito di 75mila che hanno prestato servizio in Abruzzo, quindi, è solo un decimo dell’enorme macchina attiva sulle mille piccole emergenze d’Italia.

Divisa, che passione
Il trend positivo, però, riguarda tutte le divise. Miete consensi tra i più giovani e per una buona metà è donna. I volontari del soccorso, in Croce Rossa, tra il 2002 e il 2008 sono passati da 53mila a 90mila, con 1.248 sezioni attive nel 2009 (24 in più rispetto al 2008). Anpas – 54mila soci in tuta arancione per il servizio in ambulanza su 90mila volontari complessivi – in un paio d’anni ha visto aumentare del 10-15% i volontari interessati a fare anche servizio di protezione civile, benché poi, precisa Luciano Dematteis, vicepresidente nazionale Anpas, «7 su 10 diventano volontari a tutto tondo».
Dentro la galassia Misericordie, i volontari attivi sono a quota 200mila, di cui almeno tre quarti vestono la divisa giallo-azzurra, vuoi sulle ambulanze vuoi in protezione civile. Anche se dal territorio, da Empoli per l’esattezza, dicono che «l’immagine positiva dei volontari di protezione civile passata in tv non ha fatto aumentare le iscrizioni, semmai ha dato nuovo entusiasmo ai volontari di sempre, che donano più tempo di un anno fa», dice Gionata Fatichenti. Nessun drenaggio, insomma, ma interscambio.

Non solo soccorso
A sorpresa il trend positivo c’è anche per divise più tradizionali come gli scout e l’Unitalsi. I volontari che accompagnano i malati a Lourdes, 100mila, bianco integrale e velo in testa delle dame, per gli uomini la regola è più blanda, «segnano negli ultimi 4/5 anni una crescita del +6%», dice Salvatore Pagliuca, vicepresidente nazionale. Dal 2004 l’Unitalsi è iscritta anche alla Protezione civile: con 1.200 volontari formati ad hoc assiste anziani e disabili in caso di emergenza.
E poi gli scout: il 6 aprile, dal team di Bertolaso sono partite due chiamate nominali per due scout Cngei, Maurizio e Marianna, per gestire la segreteria del Dicomac. Il sodalizio tra scout e protezione civile riguarda solo i maggiorenni, «e ha fatto riavvicinare molti adulti all’associazione», dice Carmelo Scalfari, presidente di Cngei. Su 3mila iscritti adulti, Cngei ne ha mandati a L’Aquila un buon 20%, mentre l’Agesci è stata presente con 4.200 volontari, di cui 1.200 in veste ufficiale di volontari di protezione civile, «ma con la nostra divisa», precisa Carlo Maci, incaricato nazionale Agesci per il settore, «poco vistosa ma molto riconoscibile».

Le ragioni dell’amore
Al fascino della divisa non crede nessuno. Piuttosto questa generazione di volontari «ha il senso del fare», dice Dematteis. Il servizio di emergenza «fa sentire indispensabili ed è immediatamente gratificante». In più si vive in una fortissima dimensione comunitaria, non c’è la difficoltà del rapporto one to one e si può spendere uno spettro ampissimo di competenze: sanitarie e sociali, ovvio, ma anche quelle dei radioamatori o dei cinofili.
«Il fenomeno più recente è quello di associazioni con un focus molto preciso che chiedono di entrare nella Protezione civile, dai fisioterapisti alle associazioni culturali», spiega Giarola. «Per questo stiamo lavorando con le Regioni per rivedere i criteri di iscrizione al nostro albo». Giarola sintetizza così le ragioni del boom: «Il volontario di protezione civile è inserito in una macchina capace di valorizzarlo, vede praticamente azzerato il rischio di un dialogo frustrante con amministrazioni distratte e ha un riconosciemento enorme da mass media e opinione pubblica».
Già, i mass media. Dai funerali del Papa agli incendi sul Gargano, da Viareggio a L’Aquila, a Giampilieri, le tv hanno riservato alle divise del soccorso passaggi su passaggi. L’Aquila però non è il volano di un boom. Semmai la prova del nove di una macchina dai motori già riscaldati, pronta ad entrare in azione.

Voci dal territorio
Ma cosa fanno questi volontari “in tempo di pace”?. Quando un’emergenza non c’è? Avere così tante forze a disposizione, con tanto entusiasmo, ha consentito un’impennata di attività sul territorio, sia di prevenzione sia di servizio. E questa è un’ottima notizia.


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