Welfare

Giovani e immigrati: sappiamo solo punirli

editoriale

di Giuseppe Frangi

La recente riforma («epocale» la definisce il comunicato sul sito del ministero) dei licei approvata dal governo il 4 febbraio rispecchia lo schema largamente antricipato, ma aggiunge una sorpresa: «Negli istituti tecnici le classi successive alla prima, ad esclusione della quinta, pur rimanendo con il vigente ordinamento dovranno svilupparlo con 32 ore settimanali». Dall’anno prossimo si passerà dall’orario medio settimanale di 36 ore a 32 ore (sono interessate quasi 24mila classi, cioè mezzo milione di ragazzi). Ovviamente il provvedimento obbedisce a ragioni economiche: solo negli istituiti tecnici lo Stato risparmierà su 5.300 docenti, cui c’è da aggiungere un risparmio più leggero per un analogo taglio sui professionali. Saranno ragioni più che stringenti dal punto di vista dei bilanci, ma lasciano la sensazione amara che l’Italia continui a “punire” i suoi giovani. C’è da scommettere che se la misura dovesse rientrare per l’alzata di scudi dei sindacati, sarà per salvaguardare una parte di quei posti di lavoro, non certo per la preoccupazione di ciò che i ragazzi perdono con quelle ore di scuola in meno.
Non è una tendenza che scopriamo oggi: purtroppo il nostro Paese è risucchiato da un’involuzione conservatrice dal punto di vista sociale e generazionale. Ci sono ceti a cui si riserva il massimo di attenzioni, e ceti che invece si pensa di poter strapazzare all’infinito. I giovani fanno parte di questa seconda categoria. Non ce ne si cura perché sono numericamente pochi (basta vedere lo spaccato della popolazione italiana che vede ormai gli ultra 65enni essere più numerosi degli under 20: un record mondiale). E neppure ci si cura che nel prossimo futuro siano un po’ più numerosi, per il bene di tutti: in fatto di politiche per la famiglia l’Italia di destra e di sinistra brilla per la sua latitanza. E se per le famiglie è complicato pensare di fare figli, per i figli “bamboccioni” è addirittura complicato il cammino che porta a formare famiglie, per via del lavoro che è precario per definizione, per via della casa che costa più dello stipendio.
I giovani possono solo consolarsi perché c’è un’altra categoria che si trova in simili condizioni. Sono gli immigrati. Anche nei loro confronti sembra che l’unica regola sia quella punitiva. Prendete l’annunciato permesso a punti: potrebbe sembrare un moderno meccanismo che incentiva l’integrazione. Peccato che mentre è chiaro cosa si perde se si resta senza punti, non si capisce cosa ci si guadagni ad accumularne.Così l’acquisizione dei punti per avere appreso bene l’italiano, per la buona conoscenza delle nostre leggi e della Costituzione alla fine resta solo una medaglietta da appendersi al petto. Non era più incentivante e più produttivo legare i punti al procedimento per il riconoscimento della cittadinanza? Più se hanno e meno tempo si aspetta. Invece niente. Se facessimo bene i conti, capiremmo che sarebbe meglio cambiare atteggiamento nei confronti degli immigrati: con il loro lavoro garantiscono 7 miliardi di euro alle casse dell’Inps (cioè garantiscono le pensioni degli italiani). Su giovani e immigrati l’Italia è un Paese che sa solo guardare indietro. Ma sino a quando potrà permetterselo?


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