Formazione

Per l’informazione italiana l’Africa è un grande buco

La decisione della Rai di chiudere gli uffici in Kenya

di Emanuela Citterio

Tra agenzie, tv e grandi testate solo cinque giornalisti
nel continente subshariano. Per fortuna riviste missionarie e new media vanno controcorrente Si contano sulle dita di una mano: un corrispondente della Rai e uno dell’Ansa a Nairobi (Enzo Nucci e Luciano Causa); un giornalista dell’Agi nel Congo Brazzaville (Angelo Ferrari); un inviato del Corriere che fa base in Kenya, (Massimo Alberizzi); un free-lance che si è trasferito a Kinshasa (Piero Pomponi). È la formazione fissa dei corrispondenti italiani dall’Africa subsahariana, quella che rifornisce il flusso di notizie dei media mainstream. Tra breve la formazione si potrebbe assottigliare perché la Rai ha deciso di ritirarsi dal continente africano. La dirigenza della tv pubblica ha portato in cda il nuovo piano industriale, che prevede la chiusura degli uffici di Nairobi, Il Cairo, Buenos Aires, New Delhi e Beirut. Ben cinque delle attuali 15 sedi di corrispondenza, fra cui quella costituita da pochi anni in Kenya dopo una forte pressione della società civile.
Contro questa ipotesi sono insorte associazioni, riviste missionarie e del terzo settore, siti web, fondazioni, ong e singole persone. In pochi giorni la petizione online contro la soppressione delle sedi Rai all’estero lanciata dalla Tavola della pace su Vita.it. ha raccolto quasi tremila adesioni. E hanno lanciato appelli anche l’agenzia Misna, il mensile Nigrizia e le riviste della Fesmi, che raduna una quarantina di testate missionarie per un totale di 500mila copie vendute .
«I media tradizionali, almeno quelli italiani, rischiano di restare indietro rispetto alle nuove forme di citizen journalism che stanno prendendo piede un po’ ovunque, soprattutto in Africa», accusa Silvia Pochettino, direttrice della rivista Volontari per lo sviluppo, che pubblica ogni mese articoli di giornalisti africani e da sei anni sostiene progetti di informazione nel Sahel con un finanziamento della Regione Piemonte. «In Africa esiste una pluralità di media indipendenti, sono nate forme di giornalismo partecipativo grazie alle nuove piattaforme tecnologiche e ai social network», spiega la Pochettino. «I blog sono un mezzo per evitare la censura ma anche una fonte di informazione che i media tradizionali guardano con sempre maggiore attenzione».
A Nairobi i missionari della Consolata hanno creato un centro multimediale dove ha sede Cisa – Catholic information service for Africa, un’agenzia di stampa che rilancia notizie raccolte sul campo da attivisti e operatori sociali, verificate e contestualizzate da giornalisti professionisti. «Esistono diverse agenzie come la nostra sparse per tutta l’Africa e con loro abbiamo costituito un network», spiega dal Kenya padre Franco Cellana. «Durante le violenze post elettorali in Kenya siamo stati in grado di raccogliere in tempo reale notizie da tutto il Paese».
A rilanciare in Italia l’informazione prodotta in Africa sono da sempre le riviste missionarie, ma anche nuovi progetti editoriali. «Abbiamo antenne in Africa che ci inviano contributi, notizie e opinioni», afferma Anna Pozzi, africanista di Mondo e Missione. «A volte si tratta di missionari che sono anche giornalisti professionisti, sempre più spesso di redazioni e agenzie nate dal basso, come Cisa e, per l’Africa francofona, Dia – Documentation et information pour l’Afrique». Sul web Afronline.org è un portale in inglese edito da Vita che pubblica ogni giorno articoli scritti da giornalisti africani e si avvale della collaborazione di nove partner – redazioni giornalistiche e progetti di informazione dal basso – che hanno sede in Africa. Il progetto prevede la formazione di giornalisti africani presso redazioni di agenzie, quotidiani e settimanali in Italia. Sempre online, Africa Times News è un sito nato dalla collaborazione fra Riccardo Barlaam, redattore del Il sole 24 ore, e giornalisti africani. Secondo Giulio Albanese, che ha diretto il New People Media Centre” di Nairobi e fondato Misna, la sfida «resta la comunicazione fra queste esperienze del terzo settore e i media mainstream. In Kenya oppure in Uganda servirebbe un service di professionisti in grado di raccogliere le notizie prodotte dal basso e rilanciarle in Europa».

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