Economia
Aspettando le banche, è lora dei soci
Far crescere il capitale sociale, costruire reti per offrire maggiori garanzie patrimoniali: se il sistema creditizio si apre con lentezza alleconomia civile, il non profit che fa?
Una moneta per i buoni
L?accesso al credito rappresenta una difficoltà storica per il mondo non profit. Da sempre l?imprenditoria sociale ha faticato a ottenere linee di finanziamento, scontando un?ostilità spesso preconcetta del sistema bancario.
E seppur in tempi più recenti le banche abbiano cominciato a guardare al Terzo settore come a un sistema capace di produrre ricchezza e lavoro, le maglie strette faticano ad allargarsi. All?orizzonte, poi, c?è un accordo internazionale, quello di Basilea, che vincola gli istituti a concedere credito solo in presenza di una solvibilità certificata.
Cosa accadrà? Social Job lo ha chiesto a cooperatori, dirigenti bancari e rappresentanti delle istituzioni creditizie più aperte al sociale
Cooperative sottocapitalizzate
Il problema dell?accesso al credito delle cooperative sociali non è molto diverso da quello più generale del credito alla piccola e media impresa for profit con la particolarità che la maggior parte delle cooperative soffre di un deficit cronico: la scarsa capitalizzazione».
Le parole di Felice Scalvini, vicepresidente di Confcooperative, confermano che uno dei principali ostacoli all?accesso al credito per le cooperative sociali è l?insufficiente consistenza patrimoniale.
I rapporti tra istituti di credito e cooperative sociali negli ultimi anni hanno subito un evoluzione che è andata di pari passo con il consolidamento di alcune delle esperienze più significative diffuse sull?intero territorio nazionale, con una netta prevalenza nelle regioni del Centro-Nord.
Il caso spagnolo
«Nel più grande gruppo cooperativo del mondo, lo spagnolo Mondragon», riprende Scalvini, «i nuovi soci devono versare, in tre anni, una quota sociale complessiva pari allo stipendio di un anno. Uno sforzo notevole ma che ha permesso di dare vita a un gruppo che ha 62mila addetti. Questo dimostra che l?idea che si possa fare impresa senza uno sforzo dei soci sul fronte della capitalizzazione, non regge».
Della stessa idea Giovanni Pagnoni, presidente di Cgm Finance: «Tranne sparute eccezioni, il male endemico delle cooperative è la sottocapitalizzazione: l?aspetto del socio imprenditore che capitalizza è molto trascurato e si è diffusa una mentalità per cui è possibile fare impresa anche senza capitali».
Il dualismo tra Nord e Sud è confermato anche nel rapporto tra cooperative e istituti di credito: se al Sud ottenere credito per le imprese è molto più difficile rispetto alle condizioni offerte al Centro-Nord, questo vale a maggior ragione per le cooperative sociali.
Le difficoltà di accesso al credito non sono solo imputabili alle cooperative sociali perché anche quelle meglio strutturate hanno dovuto vincere l?iniziale diffidenza dettata dalla scarsa conoscenza o da un approccio culturale che vuole le cooperative come qualcosa di più simile a organizzazioni associative che a imprese. Ma anche questo pregiudizio sta venendo meno.
«Il 90% delle cooperative sociali», spiega Roberto Biasotto, di Banca Intesa, «è in una filiera relazionale e quindi tutti i criteri di analisi di bilancio poco si attagliano a questo tipo di imprese. Da dieci anni abbiamo costituito un presidio organizzativo, di cui sono responsabile, all?interno della divisione marketing dedicato alle imprese non profit, perché riteniamo che in termini strategici generali sia un mercato che può diventare profittevole sia per l?azienda che per il non profit».
Il credito non è solo quello concesso dalle banche: ci possono essere infatti forme di finanziamento che coinvolgono i soci generando un duplice vantaggio sia per la cooperative che per gli stessi soci finanziatori.
«A Bergamo», sottolinea Pietro Manenti, direttore di Servire, una delle cooperative storiche del capoluogo orobico,«c?è una cooperativa che si occupa di commercio equo e solidale con 300 soci. Il prestito che la coop ottiene dai soci è di circa 720mila euro e viene utilizzato per coprire tutto il fabbisogno circolante e per concedere prestiti ad altre cooperative. Tra l?altro, prestare alla propria cooperativa oggi è più redditizio di qualsiasi altra forma di investimento nel breve: un prestito soci retribuito con il 3% credo sia ampiamente sostenibile per la società e conveniente per il socio. Se è possibile in questa realtà perché non deve esserlo in altre?».
Obiettivo: fare più squadra
«Il movimento cooperativo», prosegue Scalvini, «alla fine dell?800 è stato un grande inventore di strumenti finanziari tutti fondati sulla capacità di fiducia reciproca tra i soggetti coinvolti. Questo patrimonio di esperienze va, in una certa misura, rivitalizzato, le cooperative sociali devono imparare a fare più squadra e sostenersi reciprocamente anche nell?approccio al sistema finanziario: se questo avverrà, credo che non si debba avere nulla da temere dall?applicazione dell?accordo di Basilea. Sul fronte creditizio quel che manca invece è una pluralità di operatori etici. Sarebbe interessante se Banca Etica e Cosis, sfruttando l?esperienza maturata, potessero aiutare la nascita di altre iniziative a livello locale».
Il segreto nel successo è ancora una volta nelle sinergie che le cooperative possono realizzare facendo sistema.«Come Cgm Finance», conclude Pagnoni, «siamo intervenuti dapprima utilizzando liquidità intragruppo spostando, a tassi contenuti, il denaro da dove c?era a dove mancava. Ci siamo indebitati presso Banca Etica, che ci è stata di grande aiuto, e presso altri istituti, abbiamo fornito garanzie riuscendo a costituire un capitale di terzi di 7 milioni di euro che abbiamo messo a disposizione delle imprese. Il problema dell?accesso non va affrontato pensando solo di dover trovare chi ti dà denaro chiedendo minori garanzie e tassi favorevoli. Le cooperative sociali devono crescere e raggiungere dimensioni ottimali, oppure imparare a fare i conti con il mercato pur rimanendo di piccole dimensioni ma interconnesse tra di loro».
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