Non profit
Diritto collaborativo, separarsi in buona pace
Un nuovo metodo evita le esasperazioni dei conflitti
Si chiama “diritto collaborativo” ed è una procedura stragiudiziale e volontaria del regolamento del conflitto, utilizzata negli Usa e in Europa, per giungere alla separazione o al divorzio in modo civile e costruttivo. L’Aiaf Lombardia ha chiesto al Consiglio nazionale forense di riconoscerlo e di istituire appositi elenchi degli avvocati che lo praticano.
La sezione lombarda dell’Aiaf – Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori sta facendo da apripista per l’introduzione di una pratica all’avanguardia nella risoluzione dei conflitti coniugali: il diritto “collaborativo”. «Dallo scorso anno abbiamo avviato una collaborazione con l’Association Française des Praticiens du Droit Collaboratif, che aderisce all’International Academy of Collaborative Professionals, associazione senza fini di lucro, con sede in Phoenix, in Arizona, che conta migliaia di associati nel mondo», spiega la presidente della sezione lombarda, Milena Pini. «Con modalità del tutto innovative, il diritto collaborativo si basa sulla volontà di non rivolgersi al giudice per la risoluzione dei conflitti familiari».
Il processo è scandito secondo tappe molto precise: al primo incontro con il proprio cliente, l’avvocato prospetta i possibili modi di affrontare la separazione. Se il cliente, rispetto alle soluzioni tradizionali, accetta il metodo collaborativo, allora sarà necessario che anche l’avvocato dell’altra parte sia esperto in questa pratica. Nelle fasi successive le parti, con i loro rispettivi avvocati, stabiliscono un calendario degli incontri a quattro e «individuano le urgenze da trattare, scambiano ed esaminano documenti, sempre rispettando i principi della confidenzialità, della trasparenza e della riservatezza», prosegue l’avvocato Pini.
Nel percorso possono intervenire anche diversi consulenti, scelti di comune accordo, per aiutare le parti stesse a superare ostilità o controversie (dall’esperto di contabilità al notaio, dal commercialista al neuropsichiatra infantile, ecc). Sarà anche possibile rivolgersi a un mediatore familiare se è necessario migliorare la collaborazione tra le parti, quali genitori.
«Durante tutta la durata della trattativa le parti si impegnano a non adire l’autorità giudiziaria per dirimere i loro conflitti», ribadisce la Pini, «fino a quando non sarà raggiunto un accordo, che andrà omologato da parte del tribunale. Il diritto collaborativo è considerato, sia dagli avvocati che lo praticano sia dalle parti, come una modalità di risoluzione dei conflitti che genera una grande soddisfazione e probabilità di riuscita, motivo per cui continua ad avere una sempre più ampia diffusione e applicazione».
Il 5 febbraio si è tenuto a Milano un convegno di presentazione. Ora gli avvocati esperti di diritto di famiglia interessati a raccogliere l’invito dell’Aiaf seguiranno corsi di formazione in diritto collaborativo. «Successivamente», prosegue l’avvocatessa, «procederemo alla costituzione di un’autonoma associazione di avvocati che si avvalgono di questo metodo che aderirà all’International Academy of Collaborative Professionals».
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