Economia

La crisi travolge i più poveri

Lo rivela il rapporto della rete "Social Watch"

di Redazione

Lo tsunami della crisi economica si sta abbattendo sui paesi che meno hanno contribuito a scatenarla. A questo ritmo, l’obiettivo di sradicare la fame e la povertà entro il 2015 rischia di rimanere un miraggio per la maggior parte dei paesi nel mondo. Lo denuncia Social Watch, una rete della società civile che conta membri in più di 60 Paesi, nel rapporto “People First” diffuso oggi. «Studiando l’impatto sociale della crisi a livello internazionale, emerge che a pagarne le conseguenze più dure sono i paesi impoveriti e le persone più vulnerabili, molte delle quali sono nuovi poveri» afferma Jason Nardi, portavoce del Social Watch Italia. «Fra le prime vittime del crollo dei mercati finanziari vi sono i più poveri che, spendendo dal 50 all’80% del loro reddito in beni alimentari, risentono maggiormente dell’aumento del costo delle derrate agricole. Ma anche le donne, spesso impiegate in lavori precari o a cottimo, con minori salari e più bassi livelli di tutela sociale».

 

Il rapporto annuale di Social Watch, giunto alla sua 14esima edizione, monitora progressi e i ritardi dei Governi in materia di lotta contro la povertà e parità di genere e offre un quadro d’insieme sullo stato dei diritti sociali nel mondo tramite l’elaborazione di indici e tabelle con dati confrontabili a livello internazionale. Anche quest’anno, in accordo con l’approccio adottato dal Social Watch, gli indici sono basati sui diritti umani invece che sul reddito.

 

Tramite l’Indice delle Capacità di Base (BCI), il rapporto analizza lo stato di salute e il livello

dell’istruzione elementare di ciascun paese. I risultati sono preoccupanti: al 2009, quasi la metà dei paesi analizzati (42,1%) ha un valore dell’Indice BCI basso, molto basso o critico. La maggioranza della popolazione mondiale vive in paesi in cui i principali indicatori sociali sono immobili o progrediscono troppo lentamente per raggiungere un livello di vita accettabile nel prossimo decennio. «Le cifre rivelano una situazione di disuguaglianza drammatica in tutto il mondo, sebbene i dati elaborati si riferiscano a un periodo in cui la crisi economica doveva ancora produrre i suoi effetti più profondi» afferma Jason Nardi. «La crisi finanziaria offre un’opportunità storica per ripensare i processi decisionali in politica economica attraverso un approccio basato sui diritti umani». 

 

Il BCI è un indice alternativo che definisce la povertà non in termini di reddito, ma in base alla possibilità di godere di alcuni diritti fondamentali. In particolare, l’indice è costruito attraverso l’analisi di alcuni fattori determinanti per lo sviluppo di un paese: la percentuale di bambini che arriva alla quinta elementare, la sopravvivenza fino ai cinque anni di età e la percentuale di nascite assistite da personale qualificato. «A livello mondiale, emerge che nel 18% dei paesi è in atto una regressione in alcuni casi accelerata» si legge nell’anticipazione del rapporto di Social Watch. «Tra questi, il 41% fa parte dell’Africa subsahariana. Un dato preoccupante per una regione che già in precedenza registrava i valori più bassi. L’Asia meridionale sta invece progredendo rapidamente, pur partendo da valori molto bassi, mentre in America Latina e nei Caraibi non si registrano miglioramenti. Al ritmo di sviluppo attuale, solo Europa e Nord America potrebbero raggiungere entro il 2015 valori accettabili dell’indice. Ciò significa che, in mancanza di cambiamenti sostanziali, per tale data gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio concordati a livello internazionale non verranno raggiunti». 

 

Solo Danimarca, Norvegia, Svezia, Olanda e Lussemburgo hanno rispettato gli obiettivi delle Nazioni Unite, destinando almeno lo 0,7% del Pil all’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (Aps), rileva il rapporto. Nonostante le ripetute promesse del nostro governo, si prevede che l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo in Italia subirà un drammatico taglio, scendendo dallo 0,2% del PIL a meno dello  0,17%. Al pari della Grecia e di poco al di sopra della Repubblica Ceca, l’Italia si ritrova così agli ultimi posti tra i paesi industrializzati. 

 

Social Watch in Italia

 

Alla coalizione italiana del Social Watch aderiscono otto organizzazioni della società civile: ACLI,  ARCI, Campagna per la Riforma della Banca Mondiale, Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Lunaria, Mani Tese, Ucodep, WWF. Oltre a monitorare l’operato del Governo, la coalizione italiana si propone di stimolare il confronto tra istituzioni e organizzazioni della società civile, per aprire spazi di dialogo e indirizzare le scelte governative secondo criteri di giustizia sociale.


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