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Buone prassi di riutilizzo: gli esempi
Presentata la ricerca curata da Agenzia per le Onlus e Fondazione Liberanformazione sulle buone prassi di riutilizzo dei beni confiscati. A giugno un bando di Fondazione per il Sud
di Luca Zanfei
Dal Veneto alla Sicilia, attraversando il Lazio e la Campania. Uno, dieci, cento buone prassi di riutilizzo dei beni confiscati. Oltre 100 esempi concreti di beni confiscati alle mafie e restituiti alle comunità locali per uso sociale. È stata presentata presso la Federazione Nazionale della Stampa la pubblicazione “Beni confiscati alle mafie: il potere dei segni. Viaggio nel paese reale tra riutilizzo sociale, impegno e responsabilità” curata dall’Agenzia delle Onlus in collaborazione con la Fondazione Liberainformazione.Per la prima volta viene presentato un quadro dettagliato e analitico delle buone esperienze di utilizzo di beni confiscati per mezzo delle quali le comunità locali hanno dato risposta alla domanda di legalità che la cittadinanza pone in territori soffocati dalle mafie.
La conferenza stampa ha visto la partecipazione del presidente dell’Agenzia, Stefano Zamagni unitamente ad alcuni consiglieri, di Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione per il Sud, e di Roberto Morrione, presidente di Libera Informazione – Osservatorio nazionale sull’informazione per la legalità e contro le mafie. La ricerca raccoglie le buone prassi osservate nella gestione dei beni sottratti alla criminalità organizzata e destinati ad uso sociale. L’attenzione è in particolare rivolta all’impegno profuso da soggetti del Terzo settore nel dare concreta applicazione alla L. 109/1996 “Disposizioni in materia di gestione e destinazione di beni sequestrati o confiscati”. “Potere dei segni”, dunque, a significare come uno, dieci, cento passi di responsabilità sono davvero in grado di mostrare che quando istituzioni e società civile si muovono insieme possono liberare territori dalla opprimente presenza della criminalità.
«Obiettivo della ricerca – ha commentato Stefano Zamagni – è presentare per la prima volta in modo sistematico l’impegno concreto e la passione profusa dai soggetti del Terzo settore nel dare concreta applicazione alla legge 109/96. Gli oltre 100 passi di legalità dimostrano che quando le istituzioni e i soggetti della società civile responsabile cooperano fattivamente i frutti positivi arrivano copiosi contribuendo a creare una nuova cultura della legalità e del senso civico».
Nello specifico sui 116 casi presi in esame dalla ricerca, la Sicilia e la Campania si distinguono per numero di esperienze realizzate rispettivamente con 31 e 27 iniziative di riutilizzo. Per quanto riguarda il quadro delle realtà affidatarie, per il 40% dei casi i beni confiscati sono affidati alle associazioni, nel 27% dei casi alle cooperative e nel 18% a enti-istituzioni. È evidente il ruolo propositivo del cosiddetto “Terzo settore” che complessivamente rappresenta il 73% del totale degli enti affidatari. Se si guarda alla tipologia del bene riutilizzato, nel 30% dei casi riguardano villa-palazzina, nel 17% riguardano tipologia di terreno. Solo lo 0,9% riguarda l’azienda e si riferisce a uno dei pochi casi di riutilizzo o meglio di continuità produttiva sotto una rinnovata gestione di un’azienda, la Calcestruzzi Ericina, sottratta alla criminalità organizzata. La ricerca analizza anche le difficoltà riscontrate nella gestione dei beni confiscati. Il 57% è stato consegnato in un grave stato di degrado e abbandono e nel 43% dei casi analizzati le realtà affidatarie hanno avuto forti difficoltà di tipo economico. La questione dell’abbandono dei beni è molto più problematica nel caso di terreni agricoli e fondi coltivati a frutteto o vigna. In conclusione nel 37,7% delle esperienze analizzate le attività di uso sociale sono destinate alla cittadinanza nella sua totalità. Un dato significativo dal valore non solo simbolico ma anche di trasformazione reale delle condizioni di vita delle persone che trovano spazio e voce nelle aree liberate dall’oppressione mafiosa.
Dall’analisi dei dati della ricerca nasce anche la necessità di fare fronte comune per il riutilizzo dei beni confiscati. La proposta viene direttamente da Fondazione per il Sud e Agenzia delle Onlus. È lo stesso presidente dell’Agenzia delle Onlus, Stefano Zamagni a chiamare a raccolta Fondazioni, Banche e tutti i soggetti del terzo settore nel finanziamento di progetti per il riutilizzo sociale dei beni. «Propongo di stipulare protocolli tra le Banche ‘etiche’ e di lavorare seriamente sull’idea della borsa sociale con capitali dedicati ai soggetti che operano sui beni collettivi».
Perché oggi le mafie si combattono sul campo dell’economia. «Dobbiamo togliere alle mafie l’unico fattore di consenso sul territorio – spiega Zamagni – Ecco perché necessario colpirla nei patrimoni accumulati, riconvertendoli in capitale sociale». Così a dare il buon esempio è proprio la Fondazione per il Sud che ha deciso di bandire una gara per il finanziamento di progetti di riutilizzo dei beni confiscati. «Il bando sarà pronto a giugno e stanzierà 3,5 milioni di euro e prediligerà i sistemi di rete – spiega il presidente delle Fondazione, Carlo Borgomeo – L’idea di fondo è quella di valorizzare la gestione comune del sistema di riutilizzo dei patrimoni sottratti». D’altronde i dati presentati nel libro dimostrano che “si può fare”. Oltre 100 casi di riutilizzo, dal Nord al Sud del paese, con Sicilia e Campania ai vertici. E oltre il 40% degli immobili assegnati alle associazioni e cooperative del terzo settore e riconvertiti in attività imprenditoriali “pulite” o veri e propri presidi di cultura della legalità. Perché è proprio il terzo settore a rappresentare l’unico soggetto capace di scardinare il meccanismo mafioso di controllo del territorio. «Ormai abbiamo capito che le misure di tipo detentivo non sono più un deterrente e che non basta implementare il sistema normativo – spiega Zamagni – Fondamentale è lavorare sulla cultura e sui simboli legati al territorio, e il terzo settore opera proprio su questo livello. Dimostra che il rispetto della legge e la legalità sono concetti giusti e da sposare per tutta le cittadinanza».
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