Famiglia

Vi spiego perchè non è una cosa per giovani

Roberto Volpi, autore de “La fine della famiglia"

di Sara De Carli

Ormai siamo alla «catastrofe». Perché il problema non è più tanto quello di aiutare, sostenere, accompagnare le famiglie che già ci sono: il problema – a monte – oggi è che in Italia di famiglie non ce ne sono. I giovani di mettersi in coppia e uscire di casa non ne vogliono proprio sapere; figuriamoci di fare figli. «E non è una questione di welfare e servizi, casa, lavoro, asili come ci vanno ripetendo», mette in chiaro subito Roberto Volpi, statistico, autore di La fine della famiglia, un libro che nel 2007 aveva fatto molto scalpore.


Perché no?
Altrimenti in Lombardia, Toscana ed Emilia Romagna, che sono regioni con molti servizi e molte misure tradizionalmente concepite come “in favore della famiglia”, dovrebbe esserci il trionfo della famiglia, con i numeri di matrimoni e nascite altamente al di sopra della media nazionale. Non è così, i numeri sono più o meno gli stessi dappertutto. È una cosa che ci diciamo per consolarci.


Quindi più assegni, meno tasse, più asili… tutto inutile?
Non voglio dire che il welfare non serve, se non ci fosse il colpo per le famiglie sarebbe doppio, però tutte queste misure incidono – se lo fanno, quel poco che lo fanno –  sulle famiglie esistenti, ma non toccano minimamente il diaframma che separa il non esserci della famiglia dall’esserci. È una questione di strategia, non di una tantum o di politiche settoriali.  


Quali sono le dimensioni del problema?
L’Istat nel 2007 ha risentito un panel di giovani tra i 18 e i 35 anni che nel 2003 avevano dichiarato di avere il progetto concreto di uscire di casa. Si parlava di un progetto concreto, quindi c’erano alcune precondizioni, una certa età… non si trattava di diciottenni. Quattro anni dopo, 7 su 10 non se ne sono andati. E addirittura 1 su 3 – e sono tutti over 30 – dichiara che non se ne andrà più. La metà accampa la ragione del lavoro, ma il 45% dice semplicemente che sta bene dov’è.


E come si fa a fargli cambiare idea? Li obblighiamo, come dice Brunetta?
Cambiando la mentalità, per esempio fissando un limite di anni fuori corso dopo cui ti cacciano dall’università, ma anche un limite di età oltre cui i genitori non sono più obbligati a mantenere un figlio. E sarà impopolare, ma torniamo anche a dire che lo zitello di 40 anni che vive con la mamma è un fallito, non un furbo. Insomma, dobbiamo passare dal pensare le politiche familiari come qualcosa di molto specifico, settoriale, a qualcosa che invece è trasversale alle scelte politiche. Che comincia, per dire, dai piani urbanistici, delocalizzando i servizi per le famiglie, come gli asili, vicino ai luoghi di lavoro.


Come giudica, nel settore famiglia, le politiche di questo governo?

Con tutte le giustificazioni che la crisi può dare, la cosa preoccupante è la assoluta mancanza di strategia. Si può non fare nulla, per ragioni contingenti, ma avere una visione d’insieme: invece manca completamente il senso di fare qualcosa per la famiglia. Perché non scompaia, innanzitutto.


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