Politica

In prima linea a Port-au-Prince

di Redazione

Port-au-Prince, la capitale di Haiti, sorge sul Golfo Gonâve e ha ufficialmente 1,3 milioni di abitanti, che nella realtà diventano circa tre milioni contando gli immensi agglomerati umani delle bidonville. La più grande è Cité Soleil, dove vivono circa 300mila persone ed è presidiata dal 2004 da una missione Onu, la Minustah – United Nations Stabilization Mission in Haiti, presente sull’isola con una forza di 9.055 uomini al momento del terremoto (nel crollo del quartiere generale sono morti anche il capo missione, Hédi Annabi, e il suo vice).

Le bidonville. È a Cité Soleil (come nell’altra grande bidonville di Martissant) che lavorano numerose ong tra cui in particolare Avsi e Msf che ha impiantato qui l’ospedale di Choscal. Martissant sorge alle spalle della città; costruito sulle pendici dei monti circostanti, spesso è esposto a frane e smottamenti, come accaduto nella disastrosa alluvione del 2008. Un’altra zona colpita in modo drammatico dal terremoto è l’insediamento di Carrefour, dove vivono circa 400mila abitanti, e dove si trova un’altra grande baraccopoli, quella di Mariani, con decine di migliaia di persone che hanno abbandonato negli anni recenti le aree rurali per cercare un lavoro in città, e che sopravvivono con meno di un euro al giorno. È qui, come nell’altra grande baraccopoli di Philippeau, che lavorano i volontari di ActionAid.
I missionari. Ad Haiti l’80% della popolazione è cattolica, ed è forte la presenza delle congregazioni missionarie. Tra queste, i più colpiti sono stati i salesiani che hanno avuto tre morti tra i loro confratelli: Hubert Sanon, di 85 anni, e i due giovani salesiani in formazione Atsime Wilfrid, di 28 anni, e Vibrun Valsaint, di 26. Ma la notizia più tragica è la morte degli allievi salesiani della scuola di Elam, rasa al suolo. Una prima stima riferiva di oltre 200 ragazzi e giovani rimasti sotto le macerie con alcuni loro insegnanti, ma si teme che le vittime possano essere di più; a scavare tra le macerie sono intervenuti i volontari del Vis, l’ong dei salesiani. La casa ispettoriale a Drouillard è lesionata; l’opera delle Piccole scuole di Padre Bonhem è sprofondata; è crollato il dormitorio di Gressier.
Non ha avuto danni invece la delegazione della Caritas (attiva ad Haiti dal 1975), il cui quartiere generale nella zona di Delmas è rimasto in piedi. Anche l’ospedale dei camilliani, il Saint-Camille, è in discreto stato e ha funzionato a pieno ritmo, pur nell’emergenza: vi lavorano solo tre medici e tre infermieri, oltre naturalmente tutti i membri della comunità.
La protezione civile. Un altro ospedale operativo è quello della Protezione civile italiana: una struttura sanitaria mobile che è in grado di trattare 150 pazienti al giorno e dotata di una sala operatoria attrezzata. A gestire l’ospedale da campo, un team di 20 medici e infermieri specializzati in chirurgia d’urgenza di Pisa, impegnato appena arrivato nei primi interventi e nell’assistenza ai feriti. L’ospedale è stato montato presso presso l’ospedale pediatrico Saint-Damien, la grande struttura gestita da Nph – Nuestros Pequeños Hermanos, ong attiva ad Haiti da più di vent’anni sotto la guida di padre Richard Frechette, americano, sacerdote e chirurgo. L’ospedale pediatrico Saint-Damien, inaugurato nel 2006 grazie alle risorse raccolte dall’italiana Fondazione Rava, progettato per assistere 40mila bambini l’anno, è diventato in questi giorni il centro nevralgico dei soccorsi internazionali. Per molte ore è stata l’unica struttura sanitaria funzionante. A Pétionville, nel cuore dei quartieri più benestanti di Port-au-Prince, è crollato il vecchio ospedale gestito da Nph, prima del trasferimento di quasi tutte le sue attività a Saint-Damien. Tra le tante associazioni italiane presenti nella capitale haitiana c’è da segnalare anche la collaborazione tra Abconlus e una piccola fondazione di Chieri, la Lakay Mwen, per una scuola elementare che è rimasta in piedi anche se gravemente danneggiata.


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