Non profit

Prima e dopo, quanti italiani in trincea

Molte ong erano già impegnate sul posto prima del terremoto

di Emanuela Citterio

Gli unici due ospedali funzionanti sono sostenuti da nostri cooperanti e religiosi. E non è una sorpresa, perché il feeling “solidale” fra Italia e Haiti è di lungo corso. Tanto che Cité Soleil
e Martissant, quartieri off limits per molti, per le nostre ong sono luoghi di lavoro
ben noti «Andare via da Haiti? Non ci penso proprio». Sembra di vederla, Fiammetta Cappellini, anche se dal giorno del terremoto le sue parole viaggiano solo via Skype. «Ieri c’era il segnale verde, era collegata», dice mamma Antonietta, «ma non riusciamo mai a parlarle». Fiammetta, responsabile a Port-au-Prince dei progetti dell’ong Avsi, ha sposato Haiti. Lì è nato suo marito, con il quale ha dovuto prendere la decisione più difficile, quella di mandare in Italia dai nonni il figlio Alessandro, nato due anni fa. Loro due invece sono rimasti. «Voglio che respiri una vita che sa di grandi ideali, anche rischiosi, e non di certezze borghesi», ha detto del suo bambino. «Ma il distacco è stato dolorosissimo».
Sono molti i cooperanti italiani che vivono e lavorano sull’isola. Alcuni nei quartieri degradati della capitale, come Cité Soleil e Martissant, dove il territorio è controllato da sempre dalle bande armate. Altri fanno base a Les Cayes, nel sud, da dove si diramano progetti di cooperazione agricola, assistenza sanitaria e sicurezza alimentare. Ad Haiti, paese del quarto mondo dove la miseria, ti assicurano, è più desolante che nei Paesi più poveri dell’Africa, la presenza del non profit italiano è rilevante. Dopo il sisma, onlus e ong si sono rese operative in poco tempo. Alcuni centri sono diventati luoghi di riferimento per i feriti e gli affamati. A poche ore dal terremoto tra i pochi ospedali funzionanti di Port-au-Prince ce n’erano due gestiti da cooperanti e religiosi italiani: uno è il Nph Saint-Damien, sostenuto dalla Fondazione Francesca Rava, con due sale operatorie diventate un susseguirsi di tentativi di salvare vite umane. L’altro è il Saint-Camille dei Camilliani: realizzato nel 2001 grazie a donazioni giunte solo dall’Italia, si prende cura in modo particolare dei bambini, integrando le cure sanitarie con programmi di nutrizione.
Prima del sisma, le ong italiane hanno conosciuto la crisi alimentare abbattutasi su Haiti nel 2007 e 2008, riflesso di una speculazione decisa altrove. Cesvi ha aperto una sede nell’isola proprio sulla scia di questa situazione. «L’intenzione l’avevamo da tempo», afferma Myrta Canzonieri, direttrice dell’Unità di raccolta fondi e comunicazione. «Alla fine siamo entrati nel Paese con un progetto di sicurezza alimentare finanziato da Echo, l’ufficio per l’aiuto umanitario della Commissione europea. Dopo il terremoto uno dei due espatriati del Cesvi si è spostato dal sud a Port-au-Prince, poi raggiunto da due esperti di emergenze inviati da Bergamo.
In questi giorni ad Haiti sono operative anche ong italiane che non erano presenti prima del terremoto. Coopi – Cooperazione internazionale sta intervenendo insieme a Rapid La (www.rapidla.org), ramo latinoamericano dell’ong internazionale Rapid, specializzato nella prima emergenza. Nel post terremoto di Haiti prevale il network: Cesvi si sta muovendo insieme alle ong europee di Alliance 2015 e a contatto con le altre organizzazioni che fanno parte della rete italiana per le emergenze – Agire. A Port-au-Prince sono partiti subito tavoli di coordinamento internazionali, con l’obiettivo di individuare le priorità e gestire in modo efficace l’aiuto.


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