Welfare

Do you remember “fine pena mai”? Ve lo racconto…

Andrea Gusinu ci parla della difficile vita in carcere,nonchè del fatto che ogni carcerato mantiene una sorta di ingiusto marchio d'infamia anche fuori dal carcere

di Redazione

Mi chiamo Andrea Gusinu, che vi scrisse nel maggio del ?96 per rivelare le torture fisiche e psicologiche subite in seguito all?arresto per tentata rapina nell?agro di Chilivani, in Sardegna. Dopo la pubblicazione della mia lettera su ?Vita?, il Pubblico ministero, Gaetano Cau, mi sottopose al regime di sorveglianza 41 bis , riservato solo ai mafiosi. Usando come pretesto il fatto che, seppure in isolamento, ero riuscito a comunicare con l?esterno. A parte il fatto che il magistrato sapeva molto bene che all?epoca non ero sottoposto a nessuna censura, a titolo di cronaca vi voglio raccontare le punizioni a cui sono stato soggetto a causa di quella lettera. Mi trovavo nel carcere di Cagliari per essere sottoposto a un intervento chirurgico e, quando la lettera uscì sul vostro settimanale, Cau mi fece riportare più morto che vivo a Regina Coeli. Durante l?operazione i medici si dimenticarono nelle mie carni un sondino di gomma. A Regina Coeli la prima visita medica mi fu fatta solo nove giorni dopo e dovettero intervenire i miei avvocati per far sì che un chirurgo esterno potesse entrare in carcere a rimediare ai danni fatti. In ogni caso non mi sono pentito di aver scritto quella lettera. Nel mese di luglio ho letto le lettere da voi pubblicate di Vincenzo Andraous e di Mario Tuti. Essendo anch?io un ?fine pena mai?, vorrei esporle alcuni interrogativi. È vero che quando un giudice decide l?eterna sistemazione di un uomo nelle patrie galere, scrive ?fine pena mai?, ergastolo!! Una parola facile facile da pronunciare. Lo stesso giudice molto probabilmente se la ricorderà fino al prossimo caffè e non credo che gli possa rimanere impresso il valore della sentenza con cui ha decretato la fine di un essere umano. Come non credo che non capisca quanto certe esperienze (il carcere) possano modificare una persona. Un uomo, dopo dieci anni di sbarre e cancelli, non è più lo stesso. Perché allora non si dà la possibilità a chi sbaglia di ritrovare la strada che porti alla sua riscossa? E allora perché lo si butta fuori solo quando non vale più niente ed è oramai inutile per la società e per se stesso? Il carcere dovrebbe aiutare a capire quelle ragioni, anche interiori, che ti ci hanno condotto e invece non è così; nella maggior parte dei casi si regredisce e si potenzia la parte più negativa di se stessi e quel reinserimento e rieducazione tanto sbandierati se ne vanno a puttane. Tutto il sistema penitenziario sta alzando le barriere della sicurezza, trascurando il trattamento. Si dovrebbe riscoprire lo spazio dell?educazione, ragionare sulla nocività di un sistema premiale e l?eventualità di seguire la direzione della riduzione della pena e dell?espiazione in luoghi alternativi al carcere. Non sto dicendo nulla di nuovo, lo so. Ma certe esperienze ti portano a riflettere. È preoccupante la mancata partecipazione di tanti politici e intellettuali sui problemi del carcere, a parte quando ce n?è qualcuno dentro! Quanto è successo a Mario Tuti è la prova tangibile che liberazione non equivale a libertà. Si può uscire dalla galera, ma non pulirsi la macchia della condanna. Mi viene in mente quella storia del samaritano e dell?uomo lasciato mezzo morto sulla strada fra Gerusalemme e Gerico da dei briganti. Esistono ancora i samaritani? C?è da sperare che non siano quelli che indossano le finte corazze della giustizia e i molti (non tutti) operatori sociali e volontari dell?interesse. Comunque sia penso che, sia dentro che fuori dal carcere, non dovremmo mai perdere il diritto di amare ed essere amati come esseri umani e questa è una cosa molto profonda. Andrea Gusinu, Cagliari Caro signor Gusinu, mi rallegra molto di avere nuove notizie da parte sua. Apprendo che la sua vicenda processuale si è conclusa con una condanna pesantissima. Per dovere di cronaca, voglio ricordare ai nostri lettori che lei è stato protagonista di una mancata rapina conclusasi con l?omicidio di due carabinieri e il suicidio di uno dei mancati rapinatori (ma secondo la difesa, il suicida al momento del fatto era già ammanettato) e che il nostro giornale si è occupato di questa storia quando il Pm Gaetano Cau, violando ogni norma e diritto, costrinse la sua ex coimputata, Milena Ladu, a otto mesi di isolamento penitenziario. Ora che il processo è finito, forse la ?pressione? nei suoi confronti si allenterà. Ora le rimarrà forse solo troppo tempo per pensare e riflettere. Un tempo di cui (forse) non sa più che farsene. Sono d?accordo con lei. Nessun uomo può rimanere a lungo la stessa persona che ha compiuto un reato. E ogni detenuto dovrebbe essere sottoposto a un nuovo giudizio dopo un periodo di detenzione. Lo pensano in molti. Per iniziare il direttore generale delle carceri, Alessandro Margara. E lo pensano anche molti operatori e politici. Questo deve pur voler dire qualcosa. Si faccia coraggio e ci scriva ancora.


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