Non profit

Un calcio alle speculazioni

Cosa insegna ai media la sciagura calcistica in Angola?

di Joshua Massarenti

«Tra la Coppa d’Africa delle Nazioni (Can) in programma all’inizio dell’anno in Angola e soprattutto la Coppa del Mondo prevista a giugno-luglio in Sudafrica, la prima organizzata sul continente, all’Africa si presenta l’opportunità di ripulire la propria immagine e lanciarsi in una dinamica positiva». Queste quattro righe tratte da un lancio dell’Agence France Presse pubblicato il 3 gennaio scorso sembrano già preistoria.

Tra cinque anni, nessuno o quasi ricorderà che l’Angola e il Mali hanno offerto nella partita inaugurale della Can 2010 una delle partite più memorabili e spettacolari della storia del calcio africano (padroni di casa raggiunti al 94° minuto dopo aver condotto 4-0 fino al 27° del secondo tempo). Molti, se non tutti conserveranno l’immagine del centravanti togolese e stella del Manchester City, Emmanuel Adebayor, in lacrime e sotto shock dopo l’assalto armato al pullman che trasportava verso l’Angola la nazionale del Togo. Un agguato mortale rivendicato da un gruppo ribelle – le Forze di liberazione dello Stato di Cabinda-Posizione militare (Flec-Pm) –balzata agli onori della cronaca internazionale dopo aver giustificato il massacro di due membri della delegazione togolese (autista e vice-allenatore) con una lotta di liberazione di una regione, Cabinda, di cui si sa poco o nulla.

Afro-ottimisti e afro-pessimisti

Lasciando agli specialisti il compito di offrirci un quadro più chiaro sull’enclave angolana, preferiamo attirare l’attenzione sulla polemica esplosa nelle ultime ore riguardo l’immagine dell’Africa. Per gli afro-pessimisti, la tragedia angolana (o togolese, a seconda dei punti di vista) è soltanto l’ultimo, ennesimo episodio di violenza selvaggia che contamina il continente africano. Nemmeno il calcio verrebbe risparmiato da conflitti armati che nel 2009 hanno destabilizzato numerosi paesi (Guinea-Conakry e Madagascar per citare le crisi più importanti). Di fronte alle prime speculazioni sul possibile ripetersi di episodi di violenza simili in Sudafrica, il presidente della Federazione internazionale di calcio, Sepp Blatter, ha ribadito a chiare lettere «la sua fiducia nell’Africa», lasciando intendere che il Sudafrica non è l’Angola e che il paese sarà in grado di garantire la sicurezza di calciatori e supporter durante la Coppa del mondo. Gli afro-ottimisti ringraziano, convinti (a giusto titolo) che l’Africa di oggi non è più quella degli anni ’90, sprofondata assieme al crollo del Muro di Berlino in un vortice di guerre e instabilità politica.

Narrare il continente con lucidità

Purtroppo, ogni qualvolta l’Africa balza agli onori della cronaca per un fatto di sangue o per una vicenda positiva (vedi il boom economico dell’ultimo decennio), sembra che tra afro-pessimisti e afro-ottimisti non ci sia via di mezzo. Anche tra gli africani stessi. Tra l’odio e l’amore, il bene e il male, la ragione non ha scampo. Un esempio?

Domanda: esiste un altro modo di raccontare il continente africano? Al pari dell’Unione Europea, la (ri)costruzione del continente africano è una strada lunga e impervia, con alti e bassi, eventi drammatici e evoluzioni positive. Ai media incombe la responsabilità – l’unica – di narrare l’Africa con onestà e lucidità, armati di passione ragionevole.

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