Non profit

Se le parole non se ne stanno più sedute

editoriale

di Giuseppe Frangi

Un numero speciale, tutto da leggere. Un numero con 12 incontri che spalancano prospettive non banali sul nostro immediato futuro. Un anno pregustato mese per mese con gli occhi attenti e gli sguardi imprevisti di 12 protagonisti o testimoni. A sorpresa buona parte di queste interviste si vengono a ricomporre attorno ad una scommessa comune: il recupero del valore e dell’energia umana della parola. È Erri De Luca a lanciare la questione. Dice che ormai «la parola pubblica è diventata ciarlatana» per cui la gente va in cerca di altro. Cerca la parola della filosofia, della letteratura, della religione. La cerca, ma poi la trova? Certamente scrittori come De Luca la propongono con i loro libri e soprattutto con il loro radicamento dentro una parola antica come quella biblica (dice: «Anche come traduttore di Scrittura Sacra: non frugo oltre la nuda lettera. Quando leggo che c’è il vento di Elohìm che soffia sulla superficie delle acque, quello è vento. Non è spirito o anima»). Ma poi la parola ha bisogno di essere qualcosa di pronunciato da ciascuno, qualcosa che sappia contenere le speranze e le ansie della vita. E qui le cose in genere si impaludano. La nostra parola si svuota, si rattrappisce in formula omologata impotente a dire quel che siamo e quel che davvero desideriamo. Per cui è salutare la terapia choc proposta da Silvana De Mari, medico-cooperante-scrittrice, che insegna ai ragazzi la virtù dell’arroganza. Dove arroganza torna all’etimologia: arrogarsi il diritto di dire il proprio pensiero. Di andare contromano rispetto «al cinguettio» degli opinionisti pronti a noleggiare il proprio cervello al primo offerente. Intorno alle parole ragiona anche Benedetta Tobagi. Parole, quelle di suo padre, che appena potè sfiorare (aveva tre anni all’epoca dell’omicidio) e che con il lavoro intelligente e meticoloso è riuscita come a suscitare di nuovo. «È stato talmente potente il senso di quello che mio padre ha detto a me, come figlia, come donna, come persona. Mi sono sentita presa per mano da quest’uomo»: cosa sono se non parole capaci di senso e di amore queste di cui parla Benedetta?
A proposito di parole hanno una forza impressionante quelle di Elena Mearini, scrittrice all’opera prima, passata attraverso un’esperienza drammatica di anoressia. Le sue sono parole che si agitano come corpi. Parole che annullano la distanza tra se stesse e l’esperienza vissuta (dice: «Quando scrivo, persino a livello fisico, sono molto contratta come se fosse proprio il mio corpo ad avere un’urgenza di parlare, di vivere»).
Infine c’è la parola spiazzante, provocatoria, davvero “contromano” del personaggio di copertina: Alessandro Bergonzoni. Sappiamo della sua esperienza di testimonial e volontario per la Casa dei Risvegli di Bologna. E proprio da quell’esperienza affrontata con serietà esemplare, Bergonzoni ha ricavato una consapevolezza che ha sintetizzato con un gioco di parole di cui è maestro. Dalla fissazione delle “norme” bisogna passare alla consapevolezza dell'”enorme”. E l'”enorme” è la questione della vita, dei corpi-merce, della coscienza che ci è sottratta. «Le parole non stiano sedute», è il titolo della sua intervista. È l’augurio che facciamo a noi stessi e a voi tutti per l’anno che verrà.

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