Cultura

La biblioteca tuttofare

Una grande esperta racconta il mirabolante futuro degli scaffali

di Sara De Carli

Apertura lunga, gruppi di lettura, corsi di ogni tipo, anche cucito e massaggio ajurvedico. Bibliotecari come personal trainer. Un luogo pronto a vivere una rivoluzione… Esiste un posto a cui potete chiedere, legittimamente, come tagliare le unghie del vostro gatto e dove si trova il consultorio più vicino? Sì, ed è la biblioteca. Se l’idea non vi ha mai sfiorato, è perché sulla biblioteca gravita un pulviscolo di pregiudizi, che la vedono come regno di cinquecentine impolverate e di loro occhialuti cultori, dove il bibliotecario è quell’essere etereo che svanisce con la tua schedina nelle segrete del castello per riemergerne con l’oggetto del tuo desiderio (e pure, a onor del vero, per il fatto che gran parte delle biblioteche pubbliche italiane si sono concentrate più sulle collezioni che sulle persone e che da noi solo il 9% della popolazione frequenta una biblioteca, per cui tutti gli altri ne parlano solo per sentito dire). In realtà per sua essenza la biblioteca è sociale, presidio del welfare di territorio, scuola di cittadinanza, esercizio di democrazia. Ne è convinta Antonella Agnoli, bellunese, bibliotecaria da una vita e autrice del recente Le piazze del sapere. Biblioteche e libertà (Laterza). È lei che ha progettato e diretto la biblioteca San Giovanni di Pesaro, una delle poche biblioteche italiane di cui ha parlato il mondo, e che ha partecipato all’avvio, a Londra, degli Idea Store: biblioteche più simili a un centro commerciale che a un museo, aperte 71 ore la settimana, incluse sere e domeniche, che con un’infinita varietà di corsi – dal cucito al massaggio ajurvedico – hanno conquistato il 56,6% degli abitanti di Tower Hamlets, quartiere con il 50% di immigrati e con il più alto tasso di disoccupazione di tutta la Gran Bretagna.

Vita: Il welfare in biblioteca?
Antonella Agnoli: In Italia la biblioteca non ha mai veramente fatto parte di quella rete di servizi che un territorio si dà per far crescere meglio i propri cittadini, ma all’estero sì. Eppure in un tempo in cui è sempre più difficile incontrarsi e stare insieme, dove mancano quei luoghi di costruzione della vita democratica che erano le parrocchie e le case del popolo, dobbiamo inventarci altri luoghi. La mia esperienza dice che la bibliteca può essere questo.
Vita: La “biblioteca sociale” è qualcosa di innato o un progetto da realizzare?
Agnoli: I documenti internazionali hanno sempre parlato di biblioteca per tutti e per tutti – va da sé – significa quelli che leggono e quelli che non leggono, quelli che vengono da altre culture, che hanno età diverse, che hanno profili sociali differenti. E quando dico che la biblioteca è per tutti non intendo solo che tutti possono prendere in prestito un libro, indipendentemente dal loro status, ma che la biblioteca deve essere un posto in cui ogni persona si possa sentire, almeno per qualche ora, come Riccioli d’oro.
Vita: Quella dei tre orsi?
Agnoli: Lei. Ognuno in biblioteca deve poter trovare la propria sedia, la sedia giusta per sé. Da un lato questo significa che progettare una biblioteca è difficilissimo, devono necessariamente concorrere competenze diverse, bisogna dare grande attenzione agli arredi, non è uno sfizio per design. La nuova biblioteca di Amsterdam ha cinquanta tipi di sedute diverse, dalla sedia ai tappeti ai divani: al di là del fatto che in biblioteca devono poter star comodi sederi di tutte le misure, bisogna anche tener conto del fatto che ognuno ha il suo modo prediletto di leggere. D’altro lato la sedia giusta è un’espressione simbolica.
Vita: Per dire cosa?
Agnoli: Che dobbiamo avere ogni attenzione perché ciascuno possa trovarsi a proprio agio, sentirsi bene, pronto per lasciarsi provocare, fare esperienze nuove, farsi conquistare da una nuova avventura.
Vita: Avventura?
Agnoli: Poter circolare liberamente in biblioteca, mischiare persone molto diverse fra loro, facilitare il fare esperienze comuni e il fare esperienze nuove, che non stavo cercando: è questo il compito delle biblioteche e in questo le biblioteche sono presidi importantissimi di democrazia, di partecipazione e di apprendistato della cittadinanza. Lo dimostra l’enorme successo che stanno avendo in tutto il mondo, Italia inclusa, quella particolare forma di confronto che sono i gruppi di lettura, ma anche i piccoli gruppi di giovani che a Livorno si trovano in biblioteca per discutere di problemi del territorio: l’assemblea allontana, bisogna inventare nuove forme di partecipazione. In più c’è una nuova voglia di fare cose manuali, come ha intuito Sennet e come prova il successo dei tantissimi corsi proposti proprio dalle biblioteche. Voglia di fare e di fare insieme.
Vita: Per questo il bar dentro la biblioteca non è più un tabù?
Agnoli: Anzi, piace proprio perché aggrega. Ma non il bar come luogo a sé, il bar integrato, prendi un libro e un caffè dallo stesso bancone: è questo che agevola l’incontro. E poi bisogna salvaguardare il fatto che la biblioteca è l’ultimo luogo rimasto dove stare un’intera giornata senza comprare qualcosa.
Vita: Quindi in biblioteca non necessariamente per prendere un libro?
Agnoli: Noi dobbiamo porci il problema di quelli che non hanno i mezzi non tanto tecnologici ma culturali per accedere alle informazioni e al sapere. Il 50% dei cittadini non solo non ha rapporti con i libri, ma con nessun consumo culturale. Io vedo la biblioteca come luogo che aiuta a trovare le informazioni giuste per te, cosa fondamentale oggi se vuoi lavorare, essere cittadino e non escluso. È ovvio che non si tratta necessariamente di informazioni bibliografiche. Nel mondo anglosassone è molto diffuso il servizio Ask a librarian, “Chiedi al bibliotecario”: i bibliotecari rispondono a domande di ogni tipo, dal «come faccio a tagliare le unghie al mio gatto» al «sono incinta, cosa devo fare».
Vita: Però il bibliotecario non è un assistente sociale…
Agnoli: Ovviamente non tutti i bibliotecari italiani sono d’accordo, ed è chiaro che una biblioteca di conservazione è diversa da una di territorio. In queste credo sia capitato a tutti di doversi confrontare con le persone reali e i loro bisogni, dall’homeless che passa tutta la giornata in biblioteca perché lì c’è caldo all’anziano che senza la biblioteca dice che “rincretinerebbe”. Un compìto bibliotecario finlandese a cui ho chiesto come si comportano con le domande stupide, mi ha detto: non ci sono domande stupide, perché dietro ogni domanda c’è una persona che ha fatto uno sforzo enorme per mettersi in contatto con noi. In Italia il problema non è quali domande, ma se a una persona qualunque, quando ha un problema, viene in mente che la biblioteca può aiutare. Secondo me no, questa è la differenza e questa è la grande campagna di comunicazione che bisognerebbe fare: dire agli homeless, agli immigrati, a tutti i cittadini: «Noi ti possiamo aiutare a risolvere i tuoi bisogni». Il bibliotecario di domani io lo vedo così, come un personal trainer.


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