Non profit

L’oro verde si sta mangiando l’Africa

Il Continente nero produce sempre più biocarburanti

di Emanuela Citterio

Le multinazionali comprano terre per coltivare palma da olio, canna da zucchero e jatropha. E dopo Copenhagen potrebbe essere peggio. Ma i contadini non ci stanno In Sudafrica la De Beers, multinazionale dei diamanti, ha spostato il suo interesse sull’oro verde: è stata la prima azienda a ottenere dal governo la licenza per commercializzare biofuel. In Kenya è scontro fra ambientalisti e governo su un progetto di produzione di biocarburanti da canna da zucchero nella zona costiera settentrionale del Tana River Delta, approvato senza valutazione dell’impatto ambientale, in un’area che vanta 350 specie di uccelli, oltre a leoni, elefanti, squali rari e rettili. In Ghana e Senegal i governi hanno lanciato ambiziosi piani nazionali per espandere le coltivazioni destinate alla produzione di biocarburanti.
Una delle conseguenze della conferenza di Copenhagen sui cambiamenti climatici potrebbe essere una spinta ulteriore alla produzione di biocarburanti. Una decisione che avrebbe un impatto immediato in Africa, il continente più travolto dalla “corsa” all’accaparramento di terra per la coltivazione di palma da olio, canna da zucchero e jatropha, da cui si ricava biocarburante. Nei diversi Paesi del continente la società civile è spaccata in due. C’è chi vede la produzione di biocarburanti come un’opportunità per le economie africane e chi la addita come una minaccia e una forma di neocolonialismo.
La Tanzania è uno dei Paesi più interessati dall’acquisizione di terre da parte di compagnie straniere. Dopo un periodo di “far west”, il governo ora ha deciso di dire stop alle compravendite di terre fino a quando non saranno messe a punto nuove normative per regolamentare il settore. Una decisione che ha tenuto conto della presa di posizione delle associazioni contadine che fanno parte della federazione dell’Africa orientale (Eaff, Estern Africa farmers federation). Stephen Ruguva è il presidente di Mviwata, il network di contadini più importante della Tanzania e uno di membri più attivi dell’Eaff.
Vita: Secondo la Fao, la Tanzania è fra i cinque Paesi africani dove le compagnie straniere stanno acquisendo più terre. Com’è la situazione?
Stephen Ruguva: Nella regione costiera due compagnie europee hanno appena acquisito 209mila ettari di terreno nei due distretti di Bagamoyo e Kisarawe per la produzione di biocarburante.
Vita: Quanti ettari sono stati acquisiti in Tanzania per produrre biocarburante?
Ruguva: Sono presenti una quarantina di compagnie straniere. Non è una stima esatta, ma in base alle terre acquisite si ritiene che abbiano messo a coltura circa 4 milioni di ettari. Nove regioni del Paese sono state riservate a questo tipo di coltivazioni.
Vita: Qual è l’impatto di questa produzione?
Ruguva: Noi contadini non condanniamo la produzione di biocarburanti in quanto tale. Il problema è come viene fatta ora, senza tener conto delle comunità locali e senza considerare l’impatto ambientale e la sicurezza alimentare. Le piantagioni di canna da zucchero necessitano di grandi quantità di acqua in zone dove le risorse idriche sono un bene prezioso che va amministrato con cautela. La conversione di terre dalla produzione di cibo a biocarburanti può rappresentare un pericolo per la sicurezza alimentare, e contribuisce all’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli. Un altro problema riguarda le concessioni di terra. La negoziazione avviene tra compagnie straniere e governo ed è segreta fino all’ultimo.
Vita: La coltivazione di jatropha, una pianta che necessita di poca acqua, è considerata un modo più sostenibile per produrre biocarburante. È d’accordo?
Ruguva: Dipende. Secondo me la jatropha è sopravvalutata. La coltivazione su larga scala di questa pianta sottrae comunque terra e forza lavoro che potrebbero essere impiegate per la produzione di cibo ed è in competizione con la cassava, che fa parte dell’alimentazione locale.
Vita: Quindi biofuel sì o no?
Ruguva: Stiamo collaborando a programmi sperimentali per introdurre un modello famigliare e decentrato di produzione di biofuel da jatropha, accanto ad altre coltivazioni a scopo alimentare. Ma è urgente introdurre regole, soprattutto per quanto riguarda l’acquisizione di terre.


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