Cultura

Fuga dal dolore su una zattera di versi

Una raccolta di inediti della poetessa scomparsa

di Redazione

«Se la mia poesia mi abbandonasse/ come polvere o vento, /se io non potessi più cantare, /come polvere o vento, /io cadrei a terra sconfitta». Sono alcuni versi contenuti nella raccolta appena uscita, testi quasi tutti inediti di Alda Merini, degli anni di maggior intensità lirica, curata dal critico letterario Giulio Ferroni. La poesia come ragione totale di vita alla quale ha dedicato tutta la sua esistenza, la poesia come «dono divino caduto nella banalità del presente, ma pronto comunque ad accendersi anche in quella banalità». Un casuale e prezioso ritrovamento di componimenti scritti tra il 1984 e il 1988 da lei stessa inviati alla casa editrice salentina e rimasti sepolti per lungo tempo negli archivi dei manoscritti, per la prima volta pubblicati a poche settimane dalla sua scomparsa. Pagine che emanano un’energia poetica vigorosa dove è possibile ritrovare follia e genialità della gitana dei Navigli, attraverso liriche che toccano tutti i suoi mondi interiori: l’amore, il disagio mentale, la solitudine, la sofferenza e la fede. Costante è lo sguardo verso la Puglia (dove visse quattro anni perché sposò il poeta tarantino Michele Pierri): un periodo inizialmente felice che si concluse nel dolore di un manicomio: «Tutti hanno buttato la loro manciata di fango/ sui miei poveri piedi crocefissi». C’è anche la Ripa del Naviglio, abitata da gente umile relegata ai margini della realtà, in cui rimase tra gioia e disperazione fino alla morte: «ai bordi di calici di agonia, / e tutto l’universo recede». Ed è ancora una volta la poesia ad essere via di fuga dal dolore, ad agire «come una gruccia che tiene su uno scheletro tremante».

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