Traditore o precursore? Francesco An Shuxin, vescovo coadiutore di Baoding, ha scelto di abbandonare la “clandestinità” per aderire all’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, controllata dal regime. «L’ho fatto per il bene della diocesi e per le urgenze della evangelizzazione», ha spiegato. Una scelta difficile, maturata dopo una lunga militanza nella Chiesa sotterranea e dieci anni di prigione (1996-2006). In Cina e fuori dalla Cina c’è chi accusa il vescovo di tradimento e chi, invece, crede che questa sia l’unica via realista (dolorosa ma realista) per assicurare un futuro al cristianesimo nella terra dei Ming.
Pochi in Occidente sono a conoscenza di questo anomalo puzzle cinese. La Repubblica popolare è l’unica superpotenza mondiale a non avere relazioni diplomatiche con la Santa Sede. I vescovi cattolici cinesi sono gli unici ai quali è proibito venire a Roma, partecipare ai sinodi, avere incontri regolari con il Papa. All’inizio degli anni 80 il governo riaprì gli edifici di culto chiusi brutalmente dalle guardie rosse. Per poter esercitare il loro apostolato i preti dovevano però aderire all’Associazione patriottica, e giurare “indipendenza” dal Vaticano. Il diktat indusse un penoso conflitto nella comunità cristiana (12 milioni di anime) fra “patriottici” e “clandestini” (che rifiutano ogni contatto con le autorità e agiscono nelle catacombe). Ma negli ultimi anni il quadro è molto cambiato…
Quando fui ricevuto da papa Wojtyla, tutti si aspettavano che mi parlasse, come capo del governo, delle rivendicazioni su scuole cattoliche, famiglia e aborto. Invece delegò per tali questioni il segretario di Stato. E a me parlò del mondo? Mi disse la sua preoccupazione per i Paesi dell’Est che, caduto il comunismo, rischiavano di soffrire dell’ingiustizie prodotte da un capitalismo selvaggio.
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