Cultura

Un lampo di bellezza, e il vecchio si sentì bambino

«L'ombra», gli ultimi racconti di Turi Vasile

di Redazione

di Fabio Pierangeli
Scritte «in pienezza di luce», scrive Andrea di Consoli, le prose brevi de L’ombra di Turi Vasile, posano sulle labbra, stazionano nelle orecchie, aprono il cuore, sostano, nell’ossimoro, all’ombra di un’ombra: quella della vita che travasa l’ultimo gruzzolo di sabbia e conta i granelli, d’argento quelli memorabili e scuri quelli coperti di dolore, della stanchezza avvertita nella mancanza di significato autentico alle azione dell’esistenza. Ma non è «l’ombra greve del giorno affollato e diverso», bensì un mantello steso tra la paura della morte e la speranza/certezza di una nuova vita di luce, dove anche la fisicità possa avere il dono di oltrepassare il tempo. Se il destino ha voluto che fosse l’ultimo libro di Turi Vasile questo stampato dalla Hacca editore, queste parole appaiono ancora di più estreme: «So bene che sto per sfiorare l’eresia ma nella mia pochezza io mi affido alla Sua Misericordia. Che cosa sarebbe per me Dio senza il Cristo che perdona settanta volte sette al giorno, che trascurando il gregge insegue la pecorella smarrita e che fa festa al ritorno dell’ingrato figliol prodigo, a scapito del figlio benpensante e pio?».
Turi Vasile è scomparso il primo settembre 2009, a Roma. Era nato lo stesso anno di Pasolini, 1922, a Messina, giovanissimo uomo di teatro (il suo esordio nel Guf, l’amicizia con Fabbri e Betti, qui rievocata, con Pinelli e tanti altri), il suo straordinario impegno come sceneggiatore (soprattutto con Zampa e Antonioni), regista e produttore cinematografico (Roma di Fellini tra gli altri successi), l’approdo alla scrittura, con fortunate raccolte di racconti pubblicate da Sellerio, Pironti, Avagliano.
L’ombra si compone di una serie di racconti che conservano il misterioso carisma della trasmissione orale, delicatamente infissi tra la vita e la morte, la domanda radicale dell’esistenza, sul senso della nascita. Chi racconta assume spesso lo sguardo meravigliato di chi ascolta e viceversa, in una tenerezza di epicedio rarissima nella narrativa contemporanea. Lo scambio perpetuo tra l’anziano e il bambino annoda l’estremità della vita in un solo volto, quell’io autobiografico immerso nel dolore dell’imperfezione in cerca di ricordi taumaturgici, delle mani che hanno reso meno acuto lo strazio della ferita.
Sono momenti dello stupore, una continua creazione del proprio mondo trascorso, reso presente in sillabe semplici di respiri narrativi brevi come quando si trova il nonno ad esplicare la legge della vita, a cui, già a quell’età, il piccolo Turi non riesce a rassegnarsi. La domanda sorge, e si placa, in un territorio dove si possiede il coraggio di porsi leopardiani quesiti, troppo in fretta scartati dai saggi di questo mondo come adolescenziali. Quesiti ribaditi di fronte all’avvenimento possibile di un volto misericordioso, nonostante e, anzi, dentro, la sofferta coscienza della mancanza, del limite, della consumazione inevitabile della bellezza, nella malattia (quella della moglie Silvana): la misericordia, il perdono, la fede dei semplici.
Resiste la tenue luce, rispetto anche all'”ombra” dell’ipotesi di «sparire prima del dovuto», nell’ottica di una difficile speranza:«Mi è tornata in mente la speranza nella resurrezione, speranza che per consolarmi chiamo fede nella resurrezione dei corpi, anche il mio». In questo modo, l’agnizione sveste il terrore e, denudandosi, si apre alla tenerezza. «Incoraggiato da questi pensieri sono tornato davanti allo specchio e mi sono rimirato. Prodigiosamente è venuta l’immagine giovanile di Silvana a specchiarsi accanto a me e a sorridermi, anticipando la resurrezione del corpo».

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.