Cultura

Bianca e Yasmina, destini a Termini

Storia di un incontro silenzioso nel presepe-stazione

di Redazione

A suo modo è un libro d’avvento. Cioè di attesa. All’inizio sembra un’attesa più che beckettiana, frustrata e vana, senza nemmeno quel sospetto di apertura a un compimento fatto balenare da Godot. La stazione, per Bianca, non è luogo di epifanie né di ritorni. Solo di partenze e per di più di partenze definitive. «Un transatlantico bianco incagliato nel cuore della città, una nave da crociera che non andava da nessuna parte»: una descrizione adatta anche al cuore di Bianca, diventata autistica per le troppe cicatrici che i binari hanno scalfito sul suo corpo.
Ma poi è proprio in un giorno di Natale che tutto cambia. In quel «presepe strampalato» che è la stazione, «in mezzo a pastori che erano i rifiuti del mondo», «sarebbe arrivata una bella stella cometa meccanica, se a Betlemme c’erano andati a dorso d’asino potevano anche arrivare a Termini in treno». Yasmina non arriva in treno, e questo finalmente apre un altro orizzonte alla claustrofobica vita di Bianca, centocinquanta pagine quasi senza un dialogo. Due donne che si percepiscono come sfere autarchiche, solitarie e silenziose, pian piano diventano fili che si intrecciano, spesso senza parlare (i dialoghi sono in verità la parte meno riuscita del libro), nei gesti femminili di capelli da pettinare, nodi da sciogliere, che diventano «corde» che legano e che salvano dal «pozzo nero».
Un romanzo femminile, che ha per scusa l’intercultura e il nomadismo, ma che è innanzitutto viaggio dentro il corpo di donna, con il suo essere ontologicamente grembo di storia. Un «meticciato interiore», come lo chiama l’autrice. Perché alla fine «è più facile fare un nodo che disfarlo».

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