Non profit

Il social housing rimane in cantina

Poche speranze per le 650mila famiglie in attesa di un'abitazione

di Francesco Dente

Solo il Lazio userà i piani terra per ricavare alloggi sociali. In altre Regioni si punterà sull’ampiamento delle volumetrie, ma per ora i fondi mancano ancora. E rischia il flop anche chi ha previsto il coinvolgimento dei privati
Gli inquilini e il presidente dell’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale di Roma, l’Ater, li hanno denunciati pubblicamente. Negli anni hanno trasformato centinaia di box, depositi e garage in negozi e dormitori per immigrati e famiglie senza tetto. Personaggi senza scrupoli che, a modo loro, hanno intuito quello che né il governo, ideatore del cosiddetto “Piano casa” che prevede ampliamenti di volumetrie, demolizioni e ricostruzioni, né la maggior parte delle Regioni hanno fatto. Utilizzare cioè il piano terra degli immobili popolari per ricavare alloggi e suddividere gli appartamenti più grandi in piccole unità. Solo una delle 16 regioni che finora hanno legiferato, il Lazio, ha pensato di introdurre questi due tipi di intervento (Molise, Sicilia, Campania e Calabria non hanno ancora approvato la normativa; la Provincia di Trento non ha aderito all’intesa). L’assemblea guidata fino a poco da Marrazzo, ha previsto infatti che possano essere chiusi i piani pilotis delle case popolari, i porticati cioè, e frazionati gli alloggi per ricavarne altre abitazioni, magari per anziani soli. Piccoli interventi, certo. Gli unici, però, realizzabili dagli istituti e dalle aziende per le case popolari. Nelle loro casse, infatti, non ci sono soldi per le demolizioni e le ricostruzioni previste da alcune leggi attuative.

Le eccezioni di Bologna e Roma
In complesso, meno della metà delle Regioni ha colto l’occasione del Piano per introdurre norme sull’edilizia sociale. Le altre (Veneto, Toscana, Abruzzo, Valle d’Aosta, Sardegna, Friuli, Liguria) o non hanno considerato esplicitamente l’argomento o, semmai, hanno previsto (Umbria, Bolzano, Basilicata, Emilia, Bolzano) che i vani realizzati in villette e edifici siano affittati a canoni sociali. «Serve a poco contemplare interventi se poi non ci sono risorse. Forse per questo alcune Regioni non hanno disciplinato interventi sull’housing sociale», taglia corto Aldo Rossi del Sunia, il sindacato inquilini. Le misure più radicali, destinate cioè a superare il periodo transitorio di applicazione del Piano, sono contenute nelle leggi dell’Emilia Romagna e del Lazio. La Regione di Errani ha previsto che una quota pari al 20% dei nuovi insediamenti residenziali sia riservata all’edilizia sociale, mentre il Lazio ha stabilito che il 20% della superficie fondiaria edificabile delle aree interessate da varianti urbanistiche sia ceduto dai privati ai Comuni e che metà di queste aree sia destinata alle case popolari. Il peccato, tuttavia, è a monte. L’accordo Stato-Regioni di aprile, che ha sbloccato il Piano, non contempla l’edilizia residenziale sociale fra gli interventi regolamentati, ma rimanda a un nuovo piano. La prima misura consentita dall’intesa, com’è noto, è l’ampliamento della volumetria. La prevedono espressamente per le case popolari: Piemonte, Lombardia, Lazio e Marche. «È una soluzione interessante, specie se consiste nella sopraelevazione, perché scavalca il problema della mancanza di aree per l’edilizia sociale», nota l’architetto Anna Pozzo di Federcasa, la Federazione delle aziende per le case popolari. Inoltre, consente di saltare a piè pari l’altro ostacolo che blocca i progetti di demolizione e ricostruzione: il trasferimento degli inquilini dagli edifici da tirar giù. La ricostruzione integrale degli alloggi popolari, con un bonus di volumetria, è disciplinata da Lombardia, Puglia, Basilicata e Lazio nell’ambito dei progetti di riqualificazione.

Buone idee, senza gambe
Si ripresenta però il problema delle risorse. «Conviene pensare a piani di recupero che tengano insieme edilizia sociale, convenzionata e commerciale altrimenti sarà dura trovare i soldi per finanziare ricostruzioni e ampliamenti degli immobili pubblici», osserva Pozzo. Infine, Umbria, Basilicata, Lazio, Provincia di Bolzano ed Emilia Romagna hanno stabilito che parte delle volumetrie aggiuntive realizzate in edifici privati, specie con le ricostruzioni, dovrà essere destinata ad alloggi sociali, a canone sociale, concordato o riservata a persone disabili. «Una buona idea. Speriamo però che i vincoli troppo lunghi sulla locazione non scoraggino i privati», afferma Rossi. Il Piano casa, insomma, difficilmente porterà ad una maggiore offerta di alloggi per le fasce più deboli. Alle 650mila famiglie in attesa di una casa pubblica o di un appartamento in affitto non resta, dunque, che continuare ad aspettare in graduatoria.

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