Sostenibilità

La scomparsa della calzamaglia e il mare tropicale sotto casa

di Redazione

di Pino Paolillo
Inegazionisti alla Bjorn Lomborg che contestano i risultati dei ricercatori sull’evidenza dei cambiamenti climatici ormai in atto, ignorano quella che, secondo me, più dell’analisi dei carotaggi dell’Antartide, più della progressiva scomparsa dei ghiacci della Marmolada o del Petito Moreno, è la prova scientifica inconfutabile del riscaldamento globale del pianeta causato dai gas serra: la riduzione costante dell’uso della calzamaglia. Sono diversi inverni ormai che “sotto i (miei) pantaloni, niente” (mutande a parte, ovviamente). Oggi di sicuro, se dovessi pernottare, come nell’inverno di tanti anni fa, sulle impegnative quote dei Piani Resinelli (Lecco), non sarei costretto a superare l’imbarazzo dell’acquisto dell’indumento intimo di fronte alla commessa di una merceria milanese, accentuando il tono virile della voce per evitare imbarazzanti malintesi sulla fiera identità sessuale di maschio meridionale.
Né potrebbe essere usata come prova contraria il più frequente ricorso al berretto cinese di puro acrilico 100%, in quanto la protezione della calotta cranica si è resa necessaria a causa dell’inesorabile diradamento della naturale copertura pilifera e dell’immancabile cervicale.
Del resto anch’io potrei citare papilionacee fioriture di leopardiane ginestre in coincidenza con le dicembrine Stelle di Natale, o Rose di San Giovanni sbocciate non in concomitanza con la festa di inizio estate del Santo Evangelista, ma quando il termometro segnava 24 gradi nel mese per tradizione più freddo dell’anno.
Anticipi floreali che servono se non altro a limitare gli assalti dei predatori di Mimose: alla data fatidica dell’8 marzo, negli ultimi anni le esotiche infiorescenze hanno già dato da tempo. Per non parlare delle testimonianze offerte dall’amato mondo dei pennuti: un seppur solitario balestruccio già a metà febbraio o le fuligginose rondini montane sempre più frequenti nei mesi autunno-invernali sotto il viadotto dell’Angitola, non li avevo mai visti.
Come quel Pesce palla liscio tirato su con le reti davanti a Tropea da stupiti pescatori o come i branchi di piccoli Barracuda che da qualche anno stazionano d’estate tra gli scogli dell’amata “marina”, più numerosi di cefali, salpe e donzelle pavonine che allietano da anni le timide escursioni di seawatching. Visioni tropicali nel mare sotto casa.
Peccato che al ritorno sulla spiaggia, dopo una nuotata sempre più faticosa, non trovi nessuna bella Hawaiana a cingermi il collo con una ghirlanda di fiori e a ballarmi una sinuosa Hula. Una situazione che, purtroppo, non rientra nelle previsioni degli scienziati sugli effetti dei mutamenti climatici.


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