Mondo

Dubai, il simbolo dell’idiozia globale

Editoriale

di Giuseppe Frangi

Per l’inaugurazione del Burj Dubai, il grattacielo più alto del mondo con i suoi 800 metri e 200 piani, bisognerà attendere tempi migliori. Era già tutto pronto per il 2 dicembre, compresi gli ascensori brevettati appositamente dalla Mitsubishi, che come missili erano in grado di arrivare in cima in pochi secondi. Dovrà aspettare molto,o forse addirittura rinunciare, al suo bizzarro sogno David Beckham, che a Dubai aveva prenotato un’isola a forma di Inghilterra nell’arcipelago, che gli sceicchi avevano messo in cantiere.
Dei sogni e delle follie di Dubai sapevamo tutti quasi tutto. La pubblicistica occidentale da anni ci ha incantato con la descrizione di questo angolo di mondo trasformato in un gigantesco parco a tema 24 ore su 24. Gli sceicchi hanno avuto gioco facile nel conquistare l’immaginario eternamente adoloscenziale del mondo ricco. Sono bastate quelle versioni esotiche e glamour degli alberghi a sette stelle con campo da tennis e piscine sul tetto. E poco contava che quelle architetture malate di gigantismo ricordassero tanto la retorica degli edifici alla Ceausescu. Nelle cronache dorate che hanno riempito senza troppe distinzioni e senza soluzioni di continuità le pagine di giornali d’opinione molto patinati, e le pagine dei lussuosi cataloghi di agenzie di viaggio, ci si è sempre guardati bene dal raccontare quel che in realtà accadeva dietro la facciata. Mai turbare i sogni, anche se stupidi, dei benestanti…
Oggi che l’incantesimo si è infranto, la realtà torna a far sentire la sua voce, assai poco glamour. Quel mondo assurdo e fantasmagorico, sorto grazie al mulinare dei petrodollari, era sorto grazie alle braccia di centinaia di migliaia di schiavi del terzo millennio, uomini venuti da India e Pakistan, costretti a giornate lavorative di 12 ore minimo, spesso a temperature di 50 gradi. Il poco che restava loro della giornata lo trascorrevano in case senza luce e acqua corrente, in dodici in un monolocale a Sharjah, l’emirato dirimpettaio di Dubai. Il tutto per 410 dollari al mese. Sui giornali li si è visti poco, per quanto costituiscano il 40% della popolazione di Dubai. Sono gli invisibili della globalizzazione. Tre anni fa avevano cercato di far sentire la loro voce, ma avevano trovato poco spazio sui media. Nell’ottobre 2007, per un altro sciopero in 4mila erano stati espulsi, come segnale perché tutti capissero. Ora che i prezzi delle case a Dubai sono crollati del 50%, il loro destino si fa ancora più incerto. Sono l’ultimo anello della catena. Sono gli unici a cui nessuno darà un paracadute.
Perché è accaduto tutto questo? Forse per colpa degli sceicchi spregiudicati e cattivi? O forse c’è da fare i conti con una idiozia globale di cui tutti rischiamo di diventare passivi ingranaggi? Dubai ha potuto esistere e diventare florida perché sulla sua strada ha trovato solo gridolini ammirati, da destra e da sinistra. E l’informazione s’è prestata sempre a megafono un po’ beota di quei paradisi di cartapesta. Troppo facile pensare che sia solo follia degli sceicchi…
(Per capire di più il crack di Dubai leggete gli articoli di Christian Benna a pagina 15 e la rubrica «L’isola del tesoro» a pagina 41)

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