Mondo
Dubai in bancarotta Ma in crisi ci vanno Bangladesh e Pakistan
Ecco chi pagherà la crisi degli Emirati
Con i cantieri chiusi milioni di lavoratori torneranno a casa.
Così tutta l’Asia che vive di rimesse è a rischio. E in testa alla lista
ci sono Dacca e Islamabad. Ma anche l’India trema Se si ferma la Disneyland dei ricchi, i primi a scendere dalla giostra saranno i più poveri. Perché Dubai non è solo un affare per paperoni in business class – doppie, triple residenze e speculazioni sul mattone – ma anche un gigantesco hub delle rimesse che tiene in vita mezza Asia. Nello Stato del Kerala, nell’India meridionale, un dollaro su quattro, il 25% del Pil, arriva dalle impalcature che inseguono la corsa ai record d’altezza dei grattacieli dell’emirato. Circa 4,5 milioni di indiani lavorano nella regione – la metà a Dubai e il 62% è impiegato nelle costruzioni – garantendo un flusso di denaro al Paese di origine di 10 miliardi di dollari l’anno, un quinto dei 52 miliardi che gli immigrati spediscono da tutto il pianeta verso il subcontinente indiano.
L’associazione Human Rights Watch ha denunciato più volte la condizione degli operai di serie Z di Dubai. Ma tant’è. Gli indiani che lavorano nel paradiso arabico rappresentano il 40% della popolazione e producono il 12% delle rimesse che ogni anno vengono inviate in India. Li hanno chiamati i nuovi schiavi della Disneyland del deserto, tute blu globalizzate pronte a tutto pure di mandare a casa qualche soldo.
La giostra dello sceicco Mohammed bin Rachid Al Maktum, valvola di sfogo della regione in mezzo alla severità dei costumi dei vicini sauditi, con i suoi hotel di lusso, centri commerciali, zone tax free e alcol free, ha garantito – almeno fino a ieri – la sopravvivenza di milioni di famiglie indiane. E non solo. Se nell’area si dovesse scatenare un effetto domino, a seguito della caduta degli dei di Dubai rischiano di evaporare come miraggi le rimesse di una buona fetta di Asia. Il denaro inviato dal Golfo verso il continente vale il 21% del totale delle rimesse globali, con picchi del 63% in Bangladesh e del 52% in Pakistan. Chiusi i rubinetti di Dubai e fermi i cantieri della selva dei grattacieli nel deserto, i Paesi in via di sviluppo possono subire un tonfo ben più dolente di quello dei mercati finanziari.
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