Sostenibilità

Risparmio, così non impariamo dagli errori (e dalle truffe) del passato

Parliamone

di Redazione

di Gustavo Ghidini*
PNonostante gli scandali e le truffe finanziarie degli ultimi anni, le cose non sono cambiate. A giudicare da come si stanno muovendo le autorità di controllo e la politica, dobbiamo concludere che gli errori del passato non porteranno a mutamenti sostanziali delle tutele almeno nel futuro prossimo. Per quanto riguarda i controlli, ad esempio, si è registrata una vera e propria recrudescenza nella vigilanza vessatoria sui piccoli. I grandi nomi sostanzialmente rimangono intonsi, salvo qualche multa Consob o Bankitalia di poco momento.
Qualcosa è stato fatto sul lato della trasparenza con la delibera Consob che obbliga a fornire maggiori informazioni in tema di derivati. Ma si noti: la Consob non ha emesso un regolamento bensì una comunicazione, che ha valenza di interpretazione (pur autorevole, ma comunque interpretazione e orientamento applicativo) non già norma cogente.
Piccoli passi avanti sono stati fatti sulla disciplina del “rating” ma siamo ancora lontani dal risolvere i problemi concreti dei risparmiatori. È stato approvato il regolamento UE (23.4.2009) volto a disciplinare l’attività dei raters, porre in evidenza i conflitti di interesse, disporre sanzioni (rimesse agli stati membri). La normativa è ancora da attuare, quindi se ne parlerà più avanti ma nella fonte comunitaria manca la norma principale, quella cioè che avrebbe dovuto responsabilizzare direttamente i raters di fronte al mercato concedendo azione diretta di risarcimento al pubblico che abbia confidato in rating inadeguati emessi da chi era in stato di conflitto ovvero non ha usato sufficiente trasparenza e diligenza nell’emanazione del giudizio (onere probatorio ovviamente invertito). Di questo nessuna traccia.
Anche il ripetuto invito a voler escludere in radice la vendibilità di prodotti a rischio al risparmio diffuso è caduto nel vuoto. Così come resta immutata la disciplina in caso di collocamento senza prospetto di prodotti riservati agli investitori istituzionali, che chiama a rispondere questi ultimi, ove sistematicamente rivendano i prodotti stessi al retail nei 12 mesi successivi, solo nel caso in cui un prospetto non venga pubblicato. Il che significa che, con un prospetto nuovamente incomprensibile, il prodotto rischioso potrà ricircolare dall’istituzionale al retail senza sostanziali conseguenze. Fra le due soluzioni possibili (divieto assoluto ovvero responsabilità incondizionata del rivenditore) si continua a prediligere la terza farisaica soluzione: obbligo di (incomprensibile) prospetto.
Al di là delle questioni pratiche, forse anche troppo tecniche, la sensazione è che si stia cercando di ripartire con gli stessi strumenti che sono stati già bocciati dai fatti e che, abbiamo visto, non tutelano a sufficienza i consumatori. Come se la storia non ci avesse insegnato proprio niente.

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