Formazione

La scuola di gomme dei Jahalin

Alla popolazione di ex nomadi è proibito costruire in cemento. Così 60 bambini sono rimasti senza istruzione. Fino a quando una ong ha contattato alcuni architetti di Pavia...

di Redazione

Costruiteci una scuola. 350 metri  quadrati di superficie. Un piccolo edificio per  garantire a oltre 60 bambini il diritto all’istruzione. Questa è stata la richiesta dei responsabili della comunità palestinese Jahalin, un tempo nomadi ed oggi allevatori di capre e cammelli. Vivono in Cisgiordania, nelle colline desertiche a ridosso della strada che collega Gerusalemme a Gerico. Abitano in baracche semplici e colorate in una zona a totale controllo ed amministrazione israeliana (la cosiddetta Zona C). Spesso invisibili agli occhi degli stessi palestinesi, delle autorità politiche e delle organizzazioni internazionali, i Jahalin convivono ogni giorno con il divieto a loro imposto dalla Israeli Civil Administration di costruire qualsiasi edificio con l’utilizzo del cemento. Lontani da Gerico e separati dalla città di Gerusalemme dal muro israeliano, i bambini Jahalin e le loro famiglie rimangono dunque privi di quei servizi base necessari alla crescita individuale e alla sopravvivenza.
A rispondere alla loro richiesta sono stati i cooperanti della onlus italiana Vento di Terra, che opera ormai da anni per la promozione di progetti educativi e sociali volti alla popolazione palestinese. Strette di mano, tazze di caffè nero bollente e subito la prima grande domanda: come è possibile costruire in una zona desertica, con materiale grezzo, a basso costo e – soprattutto – senza l’utilizzo del cemento? Semplice, serve l’aiuto di ingegnosi architetti.
Ha così inizio il matrimonio vincente tra architettura e cooperazione. Nella primavera del 2009 un gruppo di architetti, dottori e dottorandi della facoltà di Ingegneria Edile di Pavia accetta la sfida e pianifica in tre mesi un progetto unico, messo in opera in soli quindici giorni: una scuola di gomme. Un edificio costituito da 2.200 copertoni disposti a file sfalsate come pesanti mattoni colmi di terra compressa e rivestiti di intonaco per proteggere le gomme dai raggi solari ed evitare il loro deterioramento e il possibile rilascio di sostanze nocive. Un cocktail di semplicità, rapidità ed elevata prestazione termica e statica. I pneumatici, materiale facilmente reperibile e a costo zero, godono infatti di una singolare elasticità e resistenza. Tutto a costi bassissimi. Una risposta efficace alle esigenze della comunità beduina ed un raggiro geniale ai divieti. Un successo realizzato grazie alla collaborazione tra architetti, cooperanti e soprattutto membri della popolazione locale che, dotati di un «Libriccino di istruzioni» fornito dal gruppo pavese, hanno compreso la tecnica di costruzione e si sono subito messi al lavoro.
Fuori dalle mura di fango, gli abitanti dell’insediamento israeliano Ma’ale Adumin (illegale secondo le leggi internazionali), appoggiati dall’impresa israeliana Maat che dichiara di aver da tempo progettato l’ampliamento della statale Gerusalemme-Gerico nel luogo dove si trova oggi la scuola, chiedono alla Corte Suprema israeliana la demolizione dell’edificio. Finora, la Corte si è limitata a chiedere alle controparti di avviare un tavolo di trattativa per trovare una soluzione entro la fine del prossimo dicembre. Nel frattempo, 60 bambini Jahalin si recano ogni giorno alla loro scuola di gomme nella speranza che potranno finire l’anno e proseguire i loro studi.
Ma ciò che accadrà della scuola è tutto in mano ad avvocati, giudici e politici. La scuola rimane in ogni caso un trionfo per la comunità Jahalin ed una soddisfazione per gli architetti che, nel giro di pochi mesi, si sono ritrovati catapultati in stili di vita e meccanismi politici a loro totalmente estranei. 


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