Non profit

nella stanza dove si riaccendono i bambini

Aias e i bambini con paralisi cerebrale. Non solo riabilitazione

di Sara De Carli

Puntano sul potenziale, con un metodo appreso in Israele dal professor Feuerstein e applicato per la prima volta al mondo in campo clinico, su bambini con deficit cognitivi. In Aias Milano la riabilitazione è multidisciplinare e d’eccellenza. Ne vale la pena? Chiedetelo alla Nasa
Sotto il ponte della Ghisolfa, nella periferia nord di Milano, è nascosta una piccola Nasa. Si nasconde dietro un nome crudo e fuori moda, che non ha né l’appealing imaginifico dell’evocazione né quel pragmatismo nobilitato dell’inglese: Associazione italiana assistenza agli spastici. «Ha presente gli studi medici fatti su chi va nello spazio?» chiede Antonia Madella Noja, responsabile della coordinazione e della formazione. «Costano un sacco di soldi, ma hanno ricadute scientifiche enormi. I nostri bambini sono gravissimi, nell’ottica dei risultati la domanda “ne vale la pena?” esplode ai massimi livelli. Io ho una risposta etica, ma innanzitutto una scientifica: ne vale la pena perché vedere lo sviluppo di un bambino con lesione cerebrale è come guardare con una lente d’ingrandimento lo sviluppo di un bambino normale. Noi capiamo come funziona il cervello studiando e curando il cervello che non funziona». In Aias da trent’anni, Antonia è esattamente come il nome della “sua” associazione: zero retorica, tutta efficienza.

Allenare il potenziale
Aias Milano è nata cinquant’anni fa da un gruppo di famiglie con bambini a cui il parto ha lasciato in dote una paralisi cerebrale. Oggi queste lesioni sono molte meno, ma i bambini e i ragazzi seguiti da Aias aumentano: 800 l’anno, quasi la metà figli di stranieri, seguiti da una novantina di operatori. Crescono le sindromi rare, da quella di Down a quella di Cornelia De Lange, e pure i disturbi specifici dell’apprendimento. Per il classico test di intelligenza, il QI di questi bambini sarebbe abbastanza basso. Ma interessa relativamente. Quel che conta, che valutano e su cui lavorano, è la potenzialità. Quanto cioè un bambino che non sa stare seduto, non sa tener su la testa, non sa comunicare, può tuttavia – attraverso la mediazione di un adulto – usare al meglio tutte le sue possibilità. Motorie, ma anche (ed è questa la novità) cognitive. La «valutazione dinamica» del potenziale e gli esercizi per riabilitare il deficit cognitivo quelli di Aias li hanno appresi in Israele dal professor Feuerstein, negli anni 90. Una formazione direttamente alla fonte, qui dentro è la regola. Cristina Dornini e Antonia sono state le prime al mondo ad applicare il metodo Feuerstein alla clinica, e oggi il seminario clinico al workshop internazionale del metodo Feuerstein lo tengono loro.
Il vero riconoscimento, però, viene dai genitori dei bambini: «Arrivano qui dopo una trafila di visite specialistiche e di ore passate a navigare in internet. E confessano: siete i primi a dirci che questo bambino potrà fare delle cose», spiega Cristina, coordinatrice dei terapisti. «Questo apre la porta ad investire su di lui: se pensi che non c’è niente da fare, non investi, e lui di riflesso non butta fuori nulla, il circuito si spezza. Sei tu che puoi spegnere tutto oppure cercare di accendere». Per Aias un’atmosfera che accende si crea attraverso l’immersione potente nella formazione, («è anche il miglior modo per attrezzarsi contro i rischi di burn out»), creando una rete con i migliori specialisti degli ospedali (un ortopedico del Buzzi visita i pazienti di Aias in sede, una volta al mese, e per le famiglie è una rivoluzione), offrendo una multidisciplinarietà anche nella riabilitazione. In Aias cioè c’è tutto, dalla logopedia alla fisioterapia, dalla comunicazione aumentativa alternativa alla psicomotricità, e tutto ad altissimo livello. L’olistico e lo specialistico insieme. Un po’ come Pico della Mirandola. «D’altronde le neuroscienze chiedono questo, un nuovo umanesimo scientifico», sintetizza Antonia.

Lo sgabuzzino di Sennet
C’è un locale, in Aias, che simboleggia tutto questo. Come l’eccellenza sia più una mano sollecita che non un dispiego potente di mezzi. È un locale piccolo, zeppo di bende, gesso, secchi. Materiali poveri, che sanno di cantiere. Piacerebbe a Richard Sennet e al suo elogio dell’uomo artigiano. Cristina e Alfonso, qui dentro, creano ausili ortopedici per i bambini del centro. Plantari, docce correttive che aiutano i bambini a stare in piedi, seggiolini modellati che mettono in posizioni non solo corrette ma addirittura favorenti. Modellano il gesso piano piano, con le mani, direttamente sul bambino: impossibile realizzare un ausilio più “su misura” di così. Il segreto sta nella manualità, e nella capacità di comprendere qual è la posizione giusta per ognuno. Cristina e Alfonso li hanno imparati a Parigi, dal professor LeMatayer. Ancora una volta, due operatori di Aias sono tra i “pochi al mondo”.
Bambini che non sanno stare seduti, in questo modo riescono a stare eretti e addirittura a liberare le mani per altre attività; bambini che non sanno reggere la testa, non deglutiscono e mangiano da una vita con un tubo in pancia, imparano a mangiare. Tutto si rifà daccapo ogni volta che serve, man mano che il bambino cresce: quando è abbastanza grande, si può far fare un calco in plastica, più durevole. «Ma il mio sogno è arrivare a fare tutto qui dentro», dice Cristina. È l’individuazione specifica ed è troppo innovativa anche per il pur vetusto nomenclatore tariffario. È un servizio gratuito. È un investire. Ne vale la pena.


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