Non profit
La responsabilità è d’obbligo
I sorprendenti risultati di un report dell'Unep
di Redazione
Non aggiuntivi ma necessari: così vengono definiti gli investimenti Sri
per una corretta ed efficace gestione del risparmio. E non tenerne conto può esporre a conseguenze legali Con ogni probabilità è stato appena segnato un punto di svolta fondamentale nel modo in cui la finanza etica o Sri (Socially responsible investment), quella che investe guardando non solo alle performance economiche ma anche all’impatto sociale e ambientale dell’attività d’impresa, verrà considerata negli anni a venire. Non più, cioè, come la finanza dei buoni, per non dire degli ingenui, che sacrificano il rendimento sull’altare di valori più o meno condivisi, bensì un metodo, una strategia chiamata a diventare parte integrante, o “mainstreaming”, delle modalità usuali d’investimento.
Cosa è successo? Che si è giunti là dove non si era, forse, neppure immaginato di poter arrivare nonostante una quantità di studi e ricerche avessero ormai fornito chiara evidenza empirica che la finanza Sri, specie nel medio-lungo periodo, permette di conseguire rendimenti quanto meno paragonabili, spesso anche superiori, a quelli della finanza tradizionale.
Questa sorta di rivoluzione copernicana per la finanza etica si deve a un recente rapporto pubblicato da Unep Fi (United Nations environment programme Finance initiative, vedi box), la partnership attivata dal programma dell’Onu per l’ambiente con quasi 200 delle più importanti istituzioni finanziarie per la promozione della sostenibilità nella finanza. A realizzarlo, in particolare, è stato l’Asset management working group di Unep Fi, di cui fanno parte una quindicina delle maggiori società d’investimento a livello globale (per l’Italia c’è Eurizon Capital). Da notare che il documento presenta una prefazione a cura del ministro delle Finanze norvegese, che ha la responsabilità di quel Fondo pensione governativo che ha fatto spesso parlare di sé per scelte di investimento e soprattutto disinvestimento molto nette ispirate a criteri socialmente responsabili.
Il nome del rapporto (scaricabile da www.unepfi.org/fileadmin/documents/fiduciaryII.pdf) è Fiduciary responsibility. Legal and practical aspects of integrating environmental, social and governance issues into institutional investment. Come indica il titolo, esso analizza l’impatto che l’integrazione nell’attività d’investimento di considerazioni Esg (Environmental, social and governance, altro acronimo per dire finanza Sri) può avere sulla responsabilità fiduciaria dei gestori di investimenti istituzionali. Si discute, cioè, di come l’utilizzo di criteri Sri contribuisca ad assolvere gli obblighi fiduciari a cui i gestori di patrimoni istituzionali, in primo luogo i fondi pensione, sono chiamati per contratto.
Le conclusioni del rapporto capovolgono la prospettiva con cui fino ad oggi si è guardato a questa modalità d’investimento. Si dice, infatti, che proprio il dovere fiduciario del gestore lo obbligherebbe a prendere in considerazione in ogni caso, anche quando il mandato non lo prevede esplicitamente, aspetti sociali, ambientali e di governance connessi alla selezione degli investimenti. E che il gestore, qualora non lo facesse, correrebbe il rischio di venire citato in giudizio per negligenza (il rapporto parla esplicitamente di “professional duty of care”).
Che cosa implicano, in pratica, tali conclusioni?
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