Sostenibilità

Noi, malati di shopping

Sergio Ulgiati fa un'impietosa analisi delle nostre abitudini

di Redazione

«Tutto mira a convincerci che abbiamo bisogno di un nuovo oggetto, di un nuovo abito, di un nuovo paio di scarpe. Che presto finiranno nei rifiuti. Ce ne accorgiamo solo quando la spazzatura invade le strade. Come guarire? Imparando finalmente una sana filosofia del riciclo e del riuso. Provando a superare
la logica del solo Pil
«Siamo ormai sempre più soli davanti alla televisione. Per uscire dalla solitudine, siamo solo capaci di recarci nel più vicino centro commerciale, reso attraente da luci, ristoranti, cinema e sale giochi. Qui tutto mira a convincerci che abbiamo bisogno di un nuovo oggetto, di un nuovo abito, di un nuovo paio di scarpe. E noi lo compriamo, perché fare shopping dà soddisfazione, è terapeutico, aiuta a sentirci vivi e simili agli altri. E siccome il ciclo deve potersi ripetere, questi beni sono progettati per non durare oppure per essere presto sostituiti da altri beni, così che il rito si ripeta giorno dopo giorno». Sergio Ulgiati, membro del Comitato scientifico WWF, insegna Analisi del ciclo di vita e certificazione ambientale presso il dipartimento di Scienze per l’ambiente, università degli studi Parthenope.
Ecomondo: C’è una ragione economica dietro la produzione di rifiuti?
Sergio Ulgiati: Non c’è dubbio alcuno che qualunque iniziativa in merito finirà per scontrarsi con interessi economici consolidati: la catena dello shopping a tutti i costi tiene in piedi fabbriche di oggetti inutili, che tuttavia danno reddito, contribuiscono al Prodotto interno lordo, fanno felici gli operatori economici e i ministri dell’Economia, danno occupazione. Il passaggio al digitale nelle trasmissioni televisive ha fatto vendere milioni di decoder, gettare in discarica milioni di televisori ancora funzionanti e vendere altrettanti televisori al plasma, per altro ancora più energivori dei precedenti. Bisogna diventare consapevoli che il Pil è una misura quantitativa della crescita dell’attività economica, ma ha poco a che fare con la qualità della vita e col rispetto dell’ambiente.
Ecomondo: Lei ha parlato spesso di “sindrome di Barbie”. Cosa intende?
Ulgiati: Tutti i beni che acquistiamo sono caratterizzati da una enorme quantità di imballaggi (scatole colorate, plastiche) che li rendono più voluminosi e attraenti, come le scatole delle famose bamboline. Più è grande il contenitore rispetto al prezzo, più è grande la soddisfazione all’acquisto: ciò che ho definito “la sindrome di Barbie”. Però, l’imballaggio diventa spazzatura appena tornati a casa?
Ecomondo: Quale è il ruolo dei produttori e dei consumatori ?
Ulgiati:Cittadini e amministratori si rendono conto dell’esistenza dei rifiuti solo quando questi ultimi si accumulano nelle strade. Ma il problema non può essere risolto né da una nuova e più estesa discarica, né da inceneritori/termovalorizzatori tecnologicamente più sofisticati, perché in ogni caso è necessario un investimento di risorse (economiche ed energetiche) sempre più elevato e vengono prodotte emissioni nocive, spesso acuite dalla cattiva gestione. L’unica soluzione è la riduzione della quantità di rifiuti e il riuso/riciclo di tutto ciò che ancora abbia caratteristiche utili. La riduzione del rifiuto chiama in causa i nostri stili di vita, il riuso chiama in causa la progettazione ecologica dei beni (eco-design) in modo che sia possibile utilizzarli più di una volta, il riciclo chiama in causa la collaborazione tra cittadini, amministratori e industria affinché le materie prime siano facilmente separate, raccolte e inviate nuovamente ai cicli produttivi.
Ecomondo: Cosa sono i sistemi integrati a emissioni zero?
Ulgiati: Chi studia ecologia conosce bene la catena del detrito, ossia tutto il ciclo attraverso cui gli organismi degradano il detrito e rendono disponibili i nutrienti a un nuovo utilizzatore. Se vogliamo essere sostenibili, dobbiamo emulare la natura: mantenere una rete complessa di componenti (ossia di piccoli processi di trasformazione) che utilizzino le risorse scartate e ne facciano materia prima per altri processi, così da ridurre al minimo la produzione di rifiuti. Questa è la filosofia dei processi a “emissione zero”, obiettivo forse non raggiungibile al 100%, ma che certamente ci indica una linea di tendenza.

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