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Berlino, vent’anni dopo

La festa per la caduta del Muro celebra una riunificazione incompiuta

di Franco Bomprezzi

Una festa dalle mille sfaccettature, quella di ieri, per i vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino. Ecco come i giornali raccontano e commentano la giornata “storica”.

“Il muro diventa un domino. Berlino lo abbatte e fa festa” è il titolo della fotonotizia che il CORRIERE DELLA SERA mette in prima pagina sotto il titolo di apertura sulla “Richiesta di arresto per Cosentino”. Dalla prima parte il commento di Ian Buruma “Aspettando l’era liberale”. All’anniversario dei 20 anni dalla caduta del muro sono appaltate le pagine 12 e 13. Danilo Taino interpella il reverendo protestante Christian Fuhrer, che guidò la protesta di massa di Lipsia: “«La vera rivoluzione: un mese prima a Lipsia»”. Il 9 ottobre 1989, un mese prima del crollo del muro, 70mila persone si riunirono davanti alla sua chiesa per protestare contro il regime: «È quello il giorno in cui il popolo scese per le strade: non c’era nessun poliziotto, c’era la gente». Come mai Lipsia? Come mai la sua chiesa? «Ci incontravamo per discutere di questioni sociali e di pace dal 1982. Sotto il controllo della Stasi, perché non parlavamo solo dei missili dell’Ovest, ma anche di quelli del blocco sovietico. Gente normale. Poi dal 1986 sono iniziate ad arrivare sempre più persone apertamente critiche del regime, molte intenzionate a emigrare». “Forti, di successo: le ragazze dell’est”, descrive invece l’ascesa di manager, politici e attrici della ex Ddr. Molto dicono i numeri: il 40% delle ragazze dell’est ottiene la difficile maturità liceale contro il 30% dell’Ovest e le donne che restano a est guadagnano solo il 6% in meno rispetto ai colleghi uomini, mentre la forbice all’ovest è del 23%.

“Il mondo festeggia a Berlino. Merkel: unificazione incompleta”. Anche LA REPUBBLICA apre sull’anniversario della caduta del muro che separava la Germania Est dall’Ovest. Centinaia di migliaia di persone, con i leader del mondo, per festeggiare un anniversario molto sentito. Protagonista Angela Merkel che coraggiosamente ha ricordato ai tedeschi e al mondo intero che il 9 novembre è anche l’anniversario della Notte dei cristalli, il Pogrom nazista che avviò l’Olocausto. Ha anche aggiunto che l’unificazione è ancora incompiuta: nella parte Est la disoccupazione rimane a un tasso doppio rispetto a quella Ovest. Simbolicamente nel pomeriggio la cancelliera ha preso sotto braccio Gorbaciov e Walesa per attraversare il luogo dove ci fu il primo valico del muro. Ha scelto due personaggi importanti che oggi non contano più, sottolinea Bernardo Valli, proprio perché ha la memoria lunga ed è consapevole di quanto abbiano pesato le loro volontà. Senza loro due il muro non sarebbe caduto. Tre i ricordi: di Bush padre, di Kohl (“Germania unita, il mio grande orgoglio”) e di Gorbaciov (che sottolinea il ruolo del popolo-eroe).

IL SOLE24ORE dedica l’apertura al summit Italia Brasile con intervista a Lula. In prima pagina anche una grande foto per l’anniversario del muro. “Il muro cade di nuovo”, questo il titolo. All’interno un bel commento di Alberto Negri, su tutti i muri che continuano a proliferare nel mondo: «I Muri e le barriere, che siano di cemento, sabbia o lamiera, invece di diminuire si moltiplicano, dall’Africa all’America Latina, dal Medio Oriente all’Asia. Quando fu abbattuto il simbolo della guerra fredda a Berlino quell’immagine accese ovunque una speranza: dalle macerie sarebbe sorto un nuovo ordine che avrebbe demolito gli steccati tra le nazioni. Quasi nessuno si preoccupò dell’Afghanistan, dove soltanto pochi mesi prima, il 2 febbraio 1989, si era ritirata sconfitta l’Arma Rossa, e pochi quello stesso anno si curarono della Jugoslavia e delle prime avvisaglie di una guerra che avrebbe eretto nuovi e sanguinosi confini nel cuore dell’Europa. Nei Balcani per un decennio si sono sbriciolati i ponti e costruite le trincee della pulizia etnica». Nella pagina dei commenti un parallelo impietoso tra la grande risalita del mezzogiorno tedesco (l’ex Ddr) e la stagnazione del nostro Mezzogiorno. Sulla vicenda era intervenuto anche Gianni Riotta, con una frecciata a Putin: «Quanto al leader russo Putin la sua gelida posizione è nota: “La fine dell’Urss fu la peggiore tragedia geopolitica del secolo”, immaginiamo dunque come giudichi la fine del Muro che la innescò».

ITALIA OGGI dedica alla celebrazione dei vent’anni della caduta del Muro di Berlino un box a pagina 2. L’analisi di Pierluigi Magnaschi “Il Muro di Berlino ha finito per cascare sulla Francia” racconta della preoccupazione dell’allora presidente francese Mitterrand per la riunificazione tedesca. I francesi sapevano «che su quei calcinacci sarebbe finita per sempre la rendita di posizione sulla quale la Francia era vissuta per quasi mezzo secolo». Fulminante la battuta di Francois Mauriac, saggista e romanziere nonchè consigliere culturale dell’allora governo d’oltralpe che disse «La Germania l’amo tanto che preferisco averne due».  E la realtà di oggi ha dato ragione ai timori di allora. Basta infatti guardare «l’accoglienza trionfale da parte del presidente Barack Obama e del Congresso Usa nei confronti del cancelliere tedesco Angela Merkel» che dimostra come gli americani preferiscano puntare sulla Germania in Europa. «Un sonoro manrovescio sulla guancia della Francia appunto».
 
Ai vent’anni dal muro sono dedicati due interventi su IL GIORNALE a firma di Giuseppe de Bellis e di Fiamma Nirenstein e una foto di gruppo dei leader politici: Berlusconi non è al centro, è defilato, quasi un passante che incuriosito e divertito guarda sto gruppo di ombrellati. «Per i giovani d’oggi Berlino non fa storia, scrive de Bellis, per colpa della scuola e per colpa nostra». C’è un’eccezione, De Bellis cita il caso  del sondaggio dell’Avvenire: «Nei licei veneti alle  domande sul muro  ha risposto in maniera precisa solo una ragazza. Per gli altri brandelli di nozioni, briciole di conoscenza. La ragazza fa la quarta superiore di un istituto tecnico commerciale di Padova. Ha origini polacche, ha sempre sentito parlare della storia del Muro dai genitori che a Berlino  il 9 novembre 1989 c’erano e aveva passato la cortina  e qualche mese più tardi erano emigrati in Italia. La ragazza ha chiesto ai suoi professori veneti di arrivare sino al 1989 nel programma di storia. I programmi. Quelli che a malapena arrivano alla seconda guerra mondiale e non dicono che cosa ci sia stato dopo. Cioè da dove veniamo, da dove arriva il nostro Occidente che è diverso dal loro Oriente». Fiamma Nirenstein intinge la penna nei ricordi di quando era stata inviata a Berlino dal  direttore di Epoca per seguire la caduta del Muro e stilla: «Di quei giorni ricordo gli sguardi dei ragazzi per la prima volta di fronte non al consumismo, ma alla libertà». Lo scenario della Germania vent’anni dopo per IL GIORNALE  si completa con il pezzo di Roberto Fabbri che ricorda il fenomeno della Ostalgie, nostalgia dell’est  che riguarderebbe 12milioni di tedeschi, il 15% della popolazione. Intanto esiste la Linke, partito erede del partito comunista della Ddr che raccoglie i voti politici dei nostalgici. Poi Fabbri dipinge un quadro (o forse un fotogramma direttamente dal magnifico film “Le vite degli altri”, ndr) «A vent’anni  dalla fine del muro ci sono angoli della ex Berlino est dove la riunificazione non sembra mai arrivata: a Lichtenberger dove c’era il quartiere  generale della Stasi e dove  ancora abitano i suoi numerosi pensionati nelle periferie degli squallidi falansteri detti PlattenBauen come Marzahn, Hellersdorf, Honow. Qui ad un’ora di metropolitana dal centro il regime rosso premiò migliaia dei suoi fedeli  sistemandoli in appartenenti  modesti ma dotati di bagno e riscaldamento centralizzato. Un lusso per cui ancora oggi gli sono grati. Alla memoria». Gioco di parole di Vittorio Feltri che titola l’editoriale “D’Alema salta il Muro (scritto maiuscolo) e sarà ministro” per ricordare che «l’ex vicesegretario del Pci è favorito per diventare responsabile degli Esteri della Ue. Un colpo che per lui equivarrebbe a un resurrezione. E per il quale dovrebbe ringraziare Berlusconi, suo principale sponsor». Ma anche per scriver sui ventenni della Germania riunificata «Nel 1989 era noto che il socialismo reale era traballante. Uno scossone forte era venuto dalla Polonia. Solo i comunisti italiani hanno resistito.  Sono stati gli unici a non capire la lezione».

IL MANIFESTO apre con una foto della festa di ieri sera a Berlino presso la porta di Brandeburgo. Il titolo fa il verso ad una vecchia canzone di Jovanotti “È qui la festa?”. La linea del quotidiano comunista, contenuta nelle prime tre pagine  e in alcuni approfondimenti nelle ultime tre è tutta nel sommario «Flash e telecamere sotto il vecchio confine del Bosebrucke, luci stroboscopiche e grande folla alla porta di Brandeburgo: in mondovisione a Berlino si celebrano i vent’anni del crollo del Muro. Con Gorbaciov, Walesa e un muro di plastica da abbattere in diretta,  e con gli altri protagonisti di quell’Ottantanove in cui la storia accelerava e la libertà sembrava dilagare. Lasciando indietro uguaglianza e fraternità». Proprio su queste ultime parole che Il Manifesto si concentra nei suoi approfondimenti anche nell’editoriale Guido Ambrosio che passa in rassegna la cronaca della festa  e la storia del muro berlinese. A pagina due, titolata “La festa dell’ex ragazza della Ddr” continua l’editoriale e Ambrosio sottolinea l’importanza di Harald Jager, il militare della Stasi che di sua sponte aprì i cancelli e lasciò passare la folla che premeva, e la poca attenzione dedicata a questo personaggio, «a invitare Jager, ex tenente colonnello dell’odiata Stasi, Merkel non ha pensato». Nella stessa pagina un articolo di Luciana Castellina “Come la liberazione divenne conquista” racconta di come «nell’irriformabile est dilagò il mercato». Chiara la conclusione che ridimensiona l’evento del 1989 «ma la libertà, quella per cui tanti che credono che un “altro mondo” sia possibile si battono, quella non ha trionfato. Per questo l’89 non è una festa, è un passaggio contraddittorio e difficile. Un’occasione per riflettere». Anche Andrea Rossini in “L’occasione persa dall’Europa politica” per cui «la fine della divisione del mondo in blocchi ha determinato anche la fine della Jugoslavia»che avrebbe dovuto essere rapidamente integrata all’Europa e che invece si è spaccata in 10 anni di guerre. In sostanza dopo il crollo si sperava nella ripresa del percorso di riunificazione dell’Europa il che però «non è avvenuto. Anzi a distanza di venti anni possiamo sostenere che è avvenuto il contrario».     

Ai festeggiamenti per i vent’anni della caduta del muro AVVENIRE dedica il primo piano. La cronaca della giornata sottolinea molto la dimensione di festa popolare, con 100mila persone in strada, «niente parata militare, niente sfoggio di potenza», con il domino spinto da Walesa e Barroso, «allegoria perfetta di un lungo cammino, da Solidarnosc alla Unione europea», che fa dire alla Merkel «oggi è un giorno di festa non solo per la Germania ma per tutta l’Europa» e a Sarkozy, in tedesco, «Siamo tutti berlinesi». In coda al pezzo anche qui è citato il monito della Merkel sul «processo ancora incompiuto», poiché nell’Est «sono sorti molti paesaggi fioriti» ma la disoccupazione «è il doppio di quella dell’Ovest» e quindi «è necessario mantenere il contributo di solidarietà del 5%» prelevato dalla busta paga dei tedeschi occidentali.

LA STAMPA dedica ampio spazio all’anniversario della caduta del muro, con l’apertura di prima “Merkel: la riunificazione non è compiuta” e un’editoriale di Mikhail Gorbaciov (evidenziato anche grazie a un carattere tipografico extralarge…) dal titolo “Ora giù il muro con la Russia”. Gorbaciov si affida ai ricordi: «In pochi anni i principali pilastri del sistema totalitario in Unione Sovietica sono stati picconati, preparando il terreno per una transizione democratica e per riforme economiche. Ciò che avevamo fatto nel nostro Paese, non potevamo rifiutarlo ai nostri vicini.  Non li abbiamo forzati ai cambiamenti. Dall’inizio della perestrojka, ho detto ai leader del Patto di Varsavia che l’Unione Sovietica si stava impegnando in grandi riforme ma che dovevano decidere loro quello che volevano fare. Voi siete responsabili verso la vostra gente, dissi, noi non interferiremo. In effetti era una sconfessione della Dottrina Breznev, basata sul concetto di «sovranità limitata». Inizialmente le mie parole furono ascoltate con scetticismo. Noi però non abbiamo mai vacillato: per questo gli sviluppi europei del 1989-1990 sono stati pacifici e incruenti». Ma guarda anche al presente: «Con mio grande rammarico, gli eventi hanno preso una direzione diversa, impedendo che emergesse una nuova Europa. Al posto delle vecchie linee divisorie ne sono emerse di nuove. L’Europa ha visto guerre e spargimento di sangue. Persistono sfiducia e vecchi stereotipi. La Russia è sospettata di cattive intenzioni e disegni aggressivi. (…) Che tipo di Russia volete vedere: una nazione forte, sicura dei suoi diritti, o un fornitore di risorse naturali che «sa stare al suo posto»? Troppi politici europei non vogliono parità di gioco con la Russia. Vogliono che una parte sia maestra o accusatrice, l’altra alunna o imputata. La Russia non accetterà questo modello. Vuole essere capita, vuole essere trattata sullo stesso piano. Essere all’altezza delle prossime sfide storiche – sicurezza, ripresa economica, ambiente, immigrazione – richiederebbe un ripensamento delle relazioni politiche ed economiche globali. Io esorto tutti gli europei a prendere in considerazione la proposta del presidente russo Dmitri Medvedev per un nuovo trattato di sicurezza europea. Una volta risolto questo nodo, l’Europa parlerà a voce alta».

E inoltre sui giornali di oggi:


COSENTINO

CORRIERE DELLA SERA – Il sottosegretario all’Economia accusato di rapporti con i casalesi. Il gip ha inoltrato alla Camera la richiesta di arresto. Cosentino è accusato da sei pentiti della camorra nell’ambito di un’inchiesta sullo smaltimento illecito dei rifiuti. “Il dovere della trasparenza” è il commento di Giovanni Bianconi che gira a pag 14. Scrive Bianconi: « Anche nel «caso Cosentino» c’è da auspicare, e anzi da pretendere, un corso rapido della giustizia, nel rispetto della presunzione d’innocenza e di tutte le garanzie nei confronti dell’indagato. Ma, appunto, la giustizia deve fare il suo corso, e la magistratura che l’amministra non può essere delegittimata — tantomeno preventivamente — attraverso le rituali accuse di moventi politici mascherati o simili insinuazioni. Anche perché si tratta della stessa magistratura che abitualmente indaga sugli intrighi e le malefatte di una criminalità come la camorra che ha infiltrato tutti i partiti e rappresenta un vero pericolo non solo per i cittadini della Campania». La vicenda sotto inchiesta è invece ricostruita dalla penna di Marco Imarisio: «l’uomo che forse decide­rà delle sorti politiche di Nicola Cosenti­no è un napoletano. Il sesto pentito. Lui­gi Guida, 53 anni, avversario storico di Giuseppe Misso, il boss del rione Sa­nità. Una decina di anni fa, dopo un’ alleanza stipulata in carcere, era diventato il gestore degli affari di Francesco Bidognetti, l’altro grande boss casalese. All’inizio dello scorso settembre ha cominciato a collaborare. E per prima cosa ha confermato le parole di Gaetano Vas­sallo, a proposito dei suoi incontri con uomini politici della zona per discu­tere di appalti e rifiuti, il nuovo business che avanza. Il cerchio che si chiude. Sono due anni che Nicola Cosentino ha lasciato la sua Casal di Principe per vivere a Caserta con la moglie insegnante e i loro due gemelli. Ha sempre ribattuto alle accuse sostenendo di essere «di seconda generazione». Suo padre, Silvio, ha un casellario giudiziale importante che va dalle lesioni al sequestro di persona (i fatti risalgono a due anni pri­ma della nascita di Nicola, penultimo dei suoi sette figli). «O’ mericano» è il suo soprannome, e il sottosegretario all’ Economia lamenta sempre di vedersi definito così sui giornali, in una specie di ambigua continuità. «Come se da queste parti fossimo tutti uguali, tutti segnati» ha detto di recente. Casal di Principe, come una maledizione».

LA REPUBBLICA –  “Il Gip al Parlamento: «Complice dei boss, Cosentino va arrestato». Foto notizia in prima e poi due pagine per riferire dell’accusa al sottosegretario all’economia e candidato probabile alla regione Campania. Tredici mesi di indagine conclusi con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa (reato per il quale non sono previste misure diverse dal carcere). Una verità in ritardo, commenta Roberto Saviano: tutti sapevano, ora si metta da parte. Cosa che non sembra proprio il politico abbia intenzione di fare.

IL GIORNALE – Il caso Cosentino per il quotidiano di Feltri rientra nella “Giustizia a orologeria” con le “Toghe all’attacco” che arrestano il sottosegretario all’Economia per contatti con il clan dei Casalesi, lui che è nato 50 anni fa a Casal di Principe. «A 19 anni era già consigliere comunale. Azzurro della prima ora, ha perso una sola elezione e 24 ore prima dell’arresto aveva convocato i big del Pdl per ricevere l’investitura alle Regionali». Cosa accadrà ora? «La Camera deciderà se accordare l’autorizzazione a procedere». Il GIORNALE mette in evidenza che «Cosentino non è stato mai sentito dalla Procura di Napoli». La notizia che apre l’edizione di oggi del GIORNALE è subito a pag. 3: non è un fulmine a ciel sereno. «Un anno fa, scrivono Chiocci e Malpica, l’Espresso aveva rivelato l’iscrizione nel registro degli indagati  di Cosentino tirato in ballo dalle dichiarazioni di una manciata di pentiti. E voci  di imminenti provvedimenti si sentivano nei giorni scorsi».

AFRICA
AVVENIRE – Editoriale di Giulio Albanese sul «neocolonialismo» cinese in terra d’Africa, «con la connivenza delle oligarchie africane», dato che «sarebbe fuorviante pensare che la Cina agisca nell’interesse dell’Africa, quasi fosse un benefattore»: la Cina invece è l’unica grande potenza «che sta uscendo a testa alta dalla crisi dei mercati, facendo incetta d materie prime», «attuando un copione che richiama l’epopea dei conquistadores del XVI secolo». Intanto l’Europa continua ad essere il primo donatore per l’Africa. Albanese dà ragione a Napolitano: «Dobbiamo cambiare sguardo».

IMMIGRAZIONE
AVVENIRE – Benedetto XVI riceve in udienza i partecipanti al VI Congresso mondiale dei migranti e invita a considerare le migrazioni come condizione favorevole per il dialogo, la conoscenza tr i popoli e quindi la pace. Più esplicitamente il Papa ha detto che «la Chiesa invita i fedeli ad aprirei il cuore ai migranti e alle loro famiglie, perché essi non sono solo un problema ma anche una risorsa». Di spalla la presentazione del sito www.mandasoldiacasa.it, lanciato ieri dalla Farnesina, per comparare i costi per spedire a casa le rimesse: per Frattini il costo del servizio dovrebbe essere tagliato della metà.

FUMO
ITALIA OGGI – Apertura curiosa: “Ritorna il fumo nei bar”. Questo perchè «non spetta ai titolari dei locali pubblici vigilare sul rispetto delle regole in materia antifumo». Questo quello che stabilisce il Consiglio di stato, confermando il Tar del Lazio. Dunque occorre una legge, non basta più una circolare amministrativa. Marilisa Bombi a pag 30 spiega più nel dettaglio, con i particolari di articoli e commi, nel suo “Un divieto in fumo”. Se la legge non arrivasse in fretta si assisterebbe ad un ritorno al passato per la gioia dei fumatori.

SCUOLA
LA REPUBBLICA – Il boom di lezioni private è il focus di R2, “La carica dei personal prof”. Dalle elementari all’università, il ritorno del professore di ripetizioni. Costa circa 2mila euro a famiglia ed è un lavoro oggi svolto da precari e studenti universitari. Segno, commenta Mimmo Pantaleo, segretario nazionale Cgil-Flc, che si sta destrutturando pezzo per pezzo la scuola pubblica, e che non esistono più i corsi di recupero. Tilde Giani Gallino sottolinea invece il messaggio implicito: il giovane professore è qualcuno che studia ma anche lavora per rendersi autonomo.

RIFORMA OBAMA
SOLE24ORE – La battaglia si sposta al Senato dove gli equilibri sono molto più fragili. Obama in particolare rischia sul tema della public option, la copertura assicurativa pubblica offerta a chi oggi ne è privo. Se alla Camera la battaglia risolta con l’aiuto dei vescovi era quella sull’aborto, al Senato entra in gioco una  questione che è economica ma anche culturale.

SANITA’
LA STAMPA – “Le due Italie: la malattia non è uguale per tutti”. IL rapporto del ministero sui nostri ospedali, fatto dalla Scuola superiore Sant’Anna rivela ancora una sanità spaccata in due, tra centronord e sud. Ma anche qualche sorpresa: «Certo, in pole position troviamo le Regioni rosse, Emilia-Romagna e Toscana, insieme al Veneto. Certo, in zona retrocessione ci sono come da copione Campania e Calabria. È però sorprendente che la sanità della Lombardia si collochi in un centro classifica senza lode e qualche insufficienza. Così come colpiscono i risultati tutt’altro che eccelsi della Val d’Aosta e della provincia di Bolzano. Tra le grandi Regioni, è decisamente promosso il Piemonte, mentre il Lazio incassa un risultato pessimo.  Un rapporto – già sul tavolo del viceministro della Salute Ferruccio Fazio – che farà discutere, proprio per la sua metodologia innovativa e oggettiva. I ricercatori hanno infatti preso in considerazione ben 29 indicatori della qualità dei servizi erogati nelle 21 Regioni (Trento e Bolzano sono valutate separatamente), considerando esclusivamente dati veri e ufficiali relativi al 2007. Numeri consegnati dallo stesso Ministero del Welfare o ricavati dalle schede di dimissioni degli ospedali».

ITALIA-BRASILE
SOLE24ORE –  Il quotidiano intervista il presidente Lula alla vigilia della missione delle imprese italiane a San Paolo. Tra le tante analisi all’insegna dell’ottimismo, Lula racconta ai due intervistatori questo aneddoto: «Come fa molto spesso, Lula ricorre a un aneddoto individuale per illustrare la tesi più generale sulla trasformazione del suo paese. Recentemente, nell’arido Nordest di cui è originario, ha incontrato una donna che un anno prima aveva preso in prestito 50 real da un amico per preparare pasteis (stuzzichini fritti tipici della cucina brasiliana) da vendere agli operai che lavoravano in uno dei grandi progetti infrastrutturali promossi dal governo. Da lì, la donna ha proseguito fino a mettere in piedi un servizio di catering grande abbastanza da versare 5.000 real (1.960 euro) di tasse. Per il presidente, quella donna è un esempio tipico dei 30 milioni di brasiliani che sono usciti dalla povertà, e di quei 20 milioni che negli ultimi cinque anni sono andati a ingrossare le fila della borghesia carioca».


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