Non profit

La forza dei legami per battere la crisi

Intervista al presidente Claudia Fiaschi

di Silvano Rubino

Capacità di fare sistema sul territorio, flessibilità. «Sono
i nostri vantaggi competivi. Che possiamo mettere in campo come antidoto al declino. Mostrando che esiste un modo di fare economia che non spacca le comunità»da pag. 35
SJ: Come avviene questo passaggio di apertura e interconnessione con le altre agenzia del territorio?
Fiaschi: In questo momento le modalità con cui i consorzi già sperimentano queste forme di collaborazione sono svariatissime. Da società geocomunitarie che aggregano attori, non solo cooperative sociali, del territorio ma che sono comunque interessati a condividere a pieno il piano di sviluppo del proprio territorio, sino a forme più finalizzate su progetti specifici. Abbiamo fatto una ricerca durante questo anno proprio di accompagnamento al piano di impresa che ha evidenziato come ormai sia pratica diffusa all’interno dei consorzi di Cgm essere presenti ai tavoli di pianificazione territoriale, stipulare protocolli d’intesa con attori del territorio per lo sviluppo di progetti per le pratiche di sviluppo della comunità. Si sta configurando sempre di più la capacità di stringere legami stabili attraverso vere e proprie forme di societarizzazione delle partnership o di accordi stabili che coinvolgono i diversi attori in modo diverso a seconda degli specifici ambiti d’intervento, per esempio housing, turismo o sanità. Sta emergendo ormai una grande versatilità dei consorzi nell’utilizzo degli strumenti giuridici a disposizione per connettersi e dare vita a progetti che possano valorizzare le risorse di tutti. Una strada che Cgm aveva peraltro già intrapreso a livello nazionale col sistema delle partecipate ma che oggi i consorzi stanno ripercorrendo nei propri territori ripercorrendo con altre possibilità e altri fronti d’impatto.
SJ: Questo implica una diversa strategia di comunicazione. È molto forte il tema del racconto nella Convention, attraverso utilizzo di canali come i video e simili. C’è la consapevolezza che questa capacità di raccontarsi sia mancata o non abbastanza sfruttata fino ad ora?
Fiaschi: Credo di sì. La cooperazione sociale si è raccontata molto, ma con le ricerche, con gli studi e con i convegni. Spesso si racconta con le modalità tipiche dell’azienda. Quindi con modalità di chi studia se stesso o di chi deve dimostrare che vale la qualità, le certificazione, i bollini. Oggi è tempo di riuscire a dare un valore aggiunto alla narrazione: non soltanto la capacità di fare delle cose ma la passione con cui delle persone si sono messe e continuano a fare cose, a rapportarsi col territorio, a farsi le domande e a costruire le risposte. Questa passione è visibile e percepibile soltanto con una narrazione calda. Da qui la scelta di imparare e quindi sperimentare strumenti, come il documento filmato, che fino a ieri usavamo soltanto all’interno dei gruppi di lavoro. Un conto è usarli come strumenti di servizio, un conto è invece pensarli come modo per parlare il linguaggio di tutti. La scelta di una narrazione calda quindi significa provare ad utilizzare linguaggi comuni, uno è quello dei documentari, l’altro sono le opere d’arte, per toccare il cuore non con la compassione ma con la comprensione.
SJ: La convention arriva nel pieno di una crisi di cui ancora non si vede una conclusione. È un momento delicato della nostra società. Come si colloca la Convention in questo quadro e come la cooperazione sociale può essere determinante per uscire dall’impasse?
Fiaschi: È necessario da una parte prendere atto che nessuno è immune dalle crisi sistemiche e che è necessario prepararsi ad un impatto con la crisi che la cooperazione sociale vedrà più nell’anno che arriva che in quello che termina. Insieme a questo bisogna tener presente anche i nostri punti di forza, che possono aiutare oggi a cooperare e a superare la crisi: la capacità di fare sistema e la capacità di sapersi rinnovare flessibilmente e rapidamente, anche in virtù delle nostre piccole dimensioni. È un vantaggio rilevante. È chiaro che se uno riesce di nuovo a tenere in piedi i propri vantaggi competitivi, il territorio e la rete, anche questa crisi portà essere un passaggio utile. Anche perché non dobbiamo scordarci che l’impresa sociale rappresenta, paradossalmente, proprio in virtù della crisi, un grande punto di domanda su cui concentrare l’attenzione della politica, dell’economia e delle istituzioni, perché può rappresentare un nuovo modo di fare economia senza spaccare le comunità, senza creare differenziali di sviluppo troppo elevati rimanendo fortemente ancorati alla realtà. Credo che quindi la Convention tutto sommato si posizioni bene. Si posiziona nel tempo in cui stanno cominciando ad emergere elementi di crisi interni ma questo sarà d’aiuto per condividere anche il ruolo positivo che la cooperazione sociale, che sa fare sistema e che sa rispettare il territorio nel superamento della crisi, può avere per ristabilire nessi stretti tra lo sviluppo economico e il benessere delle persona a cui lo sviluppo economico dovrebbe tendere.
SJ: È la sua prima Convention da presidente. Come’è cambiata la sua vita in questo ruolo?
Fiaschi: È sicuramente un’esperienza che trasforma la vita ed è in grado di confermare e rilanciare le motivazioni iniziali che mi avevano spinto a costituire la mia prima cooperativa e poi il mio primo consorzio. Credo che girare per la rete Cgm e incontrare le persone che operano in Cgm ha rafforzato quelle motivazioni originarie e dato la conferma che non è tanto un’ostinazione della giovinezza e dell’adolescenza quella di provare a mettere mano da protagonisti a questa trasformazione. Ci sono molte persone che ci credono ed è per me un onore rappresentarne lo sforzo. Questo è l’elemento che mi ripaga di una grandissima fatica che è quella di girare l’Italia e stare lontana dai miei figli. E mi ripaga della consapevolezza che non sarà mai possibile padroneggiare con pienezza la creatività, la quantità di idee, di innovazione e di fantasia che questa rete è in grado di produrre. Quindi è possibile soltanto incontrarla di volta in volta e lasciarsi nutrire da ciò che si trova. Quindi il bilancio personale è positivo. Fare sistema è difficile, in tempi di crisi ancora di più, perché le spinte centrifughe sono forti. Tenere insieme, parlarsi, riconfermare i patti di fiducia che legano ad un’organizzazione come questa non è facile, però credo che anche il processo con cui stiamo arrivando alla definizione del nostro piano d’impresa, sia un processo di condivisione non solo di obiettivi e di strategie ma anche di senso e di riconferma dei legami di fiducia che legano non solo le persone ma soprattutto le organizzazioni. Credo che sia un bene prezioso, di cui sono contenta di far parte.

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