Cultura

Sui binari del mondo

Vincenzo Cifarelli,uno studente, ha scelto una tesi di laurea affascinante e impegnativa:raccontare decine di paesi sulla rotta che da Milano porta all’australia, osservandoli dai mezzi pubblici.

di Redazione

Ventiquattromila chilometri di viaggio. Otto fusi orari attraversati. In solitaria. In autobus, in treno, in traghetto, o in risciò. Ovvero con un mezzo pubblico via terra. Per migliaia di chilometri da un capo all?altro dl mondo. Per tornare all?autentico e spezzare quel circolo vizioso che ha reso il viaggio prigioniero della società moderna e della sua logica consumistica, fatta di tour organizzati, buoni in tutte le lingue e culture, e di aerei che ormai hanno eliminato tutto quello che c?è nel mezzo. Quattro mesi on the road, da Milano a Melbourne, attraversando tutto l?oriente e la suggestione di 14 Paesi. Per allontanarsi dal viaggio inteso come bene da consumare in tutta fretta, con la golosità di una bulimia indifferente ai contenuti, sorda alle situazioni, cieca di fronte alle differenze. Partendo per riscoprire quei valori propri del viaggio che in passato facevano parte del momento di formazione dell?uomo. Partire per sedere sui sedili consunti di un bus cambogiano, nei vagoni scricchiolanti di un treno turco, o sulle chiatte del Mekong, lasciandosi abbandonare al ritmo lento di questi mezzi e al piacere di guardarsi intorno. Senza correre ma riscoprendo la strada e il tempo che passa. E se è vero che non è più tempo di sensazionali avventure ed esplorazioni come seppero fare, all?inizio del secolo donne coraggiose quali Alexandra David-Nèel (la famosa ?Parigina a Lhasa?) o Freya Stark, che da vecchia si stabilì in Italia ad Asolo, se è vero che noi stessi siamo troppo distanti dalle tribù degli Xavantes nel Mato Grosso brasiliano che ancor oggi interpretano il viaggio come momento iniziatico necessario per superare i propri limiti e crescere come uomini, è anche vero che questo modo di viaggiare può riconsegnare al viaggio la dignità di un tempo. Una dignità tutta ancorata al concetto di transito, di passaggio, di attraversamento che solo salendo di volta in volta su mezzi di ogni sorta per arrivare lontano da casa, come a me è capitato, è possibile riscoprire. Il viaggio dunque non come punto di arrivo o meta da raggiungere a tutti i costi, ma come esperienza che si determina lungo il percorso. Il transito cioè diventa il momento essenziale del viaggio. Capace di rendere lo spazio percorso denso di significati. Diventa il punto focale della riflessione e dell?analisi sulla diversità culturale e mentale degli altri popoli. Sedersi su di un vecchissimo autobus iraniano e condividere i chilometri con la gente del posto piuttosto che prendere posto su un Boeing da 300 posti che elimina ogni odore, colore e paesaggio, non è l?ultima tendenza naif ma è l?unico modo che aiuta a capire meglio le innumerevoli diversità del mondo, a immedesimarsi un poco in esse permettendo di comprenderle un poco. Mischiarsi alla gente del luogo, rimbecillirsi di lingue incomprensibili e impronunciabili, cercare di fare un biglietto in una sperduta stazione cinese diventa un modo per conoscere l?altro e l?altrove. Abituarsi lentamente a terre nuove (che lo schermo di un aereo ci mostra in piccolo dall?alto dei suoi diecimila piedi) e a nuove etnie mentre i chilometri corrono verso l?Australia, guardare dal finestrino il susseguirsi lento di deserti, delle foreste tropicali, di visi europei, orientali, ora più scuri ora più chiari vuol dire avere esperienze con la storia, e con gli stili di vita di popolazioni a noi lontane. Ma c?è un di più che va oltre la conoscenza dei luoghi e dei posti nuovi e delle emozioni suscitate. Che va oltre l?avvicinarsi all?altro e all?altrove. Viaggiare soli, lentamente con i mezzi pubblici, seguendo una linea immaginaria tracciata quasi casualmente su di una cartina geografica e che attraversa mezzo globo, significa anche viaggiare in se stessi, con se stessi. Così, attraversando luoghi e posti per diversi mesi, spostandosi dai forti riferimenti della realtà di tutti i giorni, significa anche iniziare un viaggio dentro di sé. Crescere cioè, e riscoprirsi, se è il caso, diversi. Goethe stesso, nel suo Viaggio in Italia, intrapreso per due anni, con treni e per certi tratti a piedi, dichiara: «Io non imprendo questo viaggio per ingannare me stesso, bensì per imparare a conoscere me stesso attraverso i vari oggetti». Un viaggio così concepito decongela l?identità, la rende mobile, problematica, itinerante.


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