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Pena di morte contro le stragi degli albini

In Tanzania già condannate sette persone

di Emanuela Citterio

La Tanzania riesuma la pena di morte per combattere le stragi di albini e il traffico dei loro organi. La corte della città di Shinyanga, nel nord del Paese, ha condannato alla sentenza capitale quattro persone giudicate colpevoli della morte di Lyaku Willi, albino, il cui cadavere fu ritrovato senza testa e senza gambe in un villaggio vicino al Lago Vittoria. Una decisione che ricalca quella presa da un’altra corte tanzaniana, che lo scorso settembre ha condannato a morte per impiccagione i tre assassini di un ragazzo albino di 10 anni.

Se si considera che la Tanzania non commina pene di morte dal 1995 il segnale è inequivocabile: le autorità vogliono stroncare un fenomeno che si stava diffondendo anche al vicino Burundi, e attorno al quale si è sviluppato un macabro mercato: trafficanti e sedicenti stregoni vendono parti del corpo degli albini per riti di stregoneria. Negli ultimi due anni in Tanzania sono stati uccise oltre 50 persone albine.

In molti Paesi africani, nel frattempo, sono nate associazioni e network di persone albine che chiedono di essere protette dalla superstizione e che rivendicano i loro diritti. La “Tanzania albino society” ha lavorato attivamente negli ultimi due anni per portare alla luce il fenomeno dei trafficanti di organi.

Secondo Isaac Mwaura della Società degli Albini del Kenya (ASK) «È curioso che anche in una città cosmopolita come Nairobi ci siano persone che alla semplice vista di un albino perdono l’appetito, associando subito la persona alla malattia. Le credenze sono le più svariate: c’è chi è convinto che gli albini siano sterili, altri che siano immortali, che abbiamo degli handicap mentali o che possano addirittura curare l’AIDS. Altri ancora credono che entrare in possesso di parti del corpo di albini porti fortuna e ricchezza».

«La minaccia più grande per la sicurezza degli albini sono questi sistemi di credenze false e negative sulla loro condizione» scrive Pitalis Were, sociologo kenyano disabile. «E quando queste credenze negative si sommano all’ignoranza e alle conoscenze limitate sulla situazione, il risultato finale può essere devastante».

«Non stare a guardare, chiedi» è il motto di ASK. Stanchi dei continui sguardi che cadono sulle persone del loro gruppo, l’associazione si è appellata a tutti i kenyani che vogliono sapere qualcosa in più sull’albinismo, e ha chiesto loro di informarsi di più invece di limitarsi a fissarli come se fossero strani esseri venuti dalla luna.

Sotto la spinta dell’associazionismo, i governi africani si stanno muovendo. Il governo kenyano sta considerando la proposta delle associazioni di albini di una legge ad hoc o di una revisione del Persons with Disability Act del 2003, in modo che vengano riconosciuti i diritti delle persone albine e che si prendano provvedimenti per risolvere problemi come il cancro alla pelle, le uccisioni rituali e la discriminazione sul lavoro, nell’educazione e nel sistema sanitario.

Il Presidente della Tanzania Kikwete ha promosso costanti iniziative di sensibilizzazione e ha nominato una donna albina in parlamento, dando così voce e visibilità alla causa.

Per approfondire: Afronline.org


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