Politica

«Abbiamo bisogno degli stranieri»

«Sono per uno jus soli temperato», ha detto il presidente della Camera alla presentazione del rapporto Caritas

di Maurizio Regosa

Intervenendo, stamani a Roma, alla presentazione del XIX Rapporto sull’immigrazione, realizzato da Caritas/Migrantes, il presidente della Camera, Gianfranco Fini ha ribadito alcune delle posizioni sul fenomeno (che è «mondiale» e per il quale «non sono più sufficienti politiche di controllo e integrazione ma bisogna portare un po’ più di benessere nei paesi di origine»). Sono le riflessioni che sta facendo da qualche tempo e che lo hanno in qualche modo “isolato” rispetto alla maggioranza di governo.

«I dati svuotano i pregiudizi»

Anzitutto il Rapporto che conferma un trend già noto (il numero di immigrati è in crescita: alla fine del 2008, quasi 4 milioni cui vanno aggiunti i regolarizzati di settembre, per un totale di circa 4milioni 330mila persone). Un andamento largamente atteso, che ha alimentato «alcuni accenti xenofobi» e alcuni pregiudizi. Ad esempio quelli secondo cui, ha detto Fini, «gli stranieri portano via il lavoro agli italiani oppure ricevono più servizi di quello che danno». Se però si leggono i dati, si « scopre che a fronte del 7% di presenza sulla popolazione italiana, gli stranieri producono il 10% del Pil. Ci sono 190mila lavoratori autonomi stranieri che danno lavoro ad almeno altre 200mila persone. E a fronte del 2,5% di spesa pubblica destinata allo straniero, gli stranieri assicurano in termini di gettito il 5%, esattamente il doppio. La nostra economia», ha commentato il presidente della Camera, «senza stranieri rallenterebbe. I dati svuotano i pregiudizi».

Introdurre lo jus soli?

Perché la cittadinanza sia il «punto d’arrivo dell’integrazione», ha proseguito Fini, occorre procedere a riforme importanti. Una sarà in discussione alla Camera tra pochi giorni (è stata presentata da Fabio Granata e dal democratico Andrea Sarubbi e dimezza da dieci a cinque gli anni di residenza in Italia necessari per ottenere la cittadinanza, prevede dei test per la conoscenza della lingua, della storia e della Costituzione oltre che un giuramento sui valori della Carta).  «Spero ci sia un accordo sui minori», ha spiegato il presidente aggiungendo di non essere d’accordo sull’introduzione dello jus soli: «Sono per uno jus soli temperato: chi nasce qui, ma anche chi arriva piccolissimo dopo che ha frequentato un intero ciclo scolastico per quale motivo si deve dire a quel bambino che fino a 18 anni non sarà cittadino italiano? Spero che su questo si possa arrivare a una mediazione ragionevole. Si può discutere sui cinque o i dieci anni, ma cominciamo a garantire che diventi italiano quel bambino che frequenta un ciclo scolastico».

Lavorare per una vera integrazione

Per governare un fenomeno così complesso, occorre una strada diversa dall’assimilazionismo francese e dal multiculturalismo britannico: «Due modelli che non possono essere accettati in toto». «Integrazione è la condivisione dei valori di fondo della società in cui ti trovi, della società nella quale tendi a mettere le radici. Integrazione è consentire a qualcuno di dire “io sono italiano, considero l’Italia la mia patria”. Ma patria» – ha ricordato Fini – «vuol dire terra dei padri. E allora bisogna fare in modo che si sentano italiani figli di una nuova patria anche coloro che hanno i nonni e i genitori sparsi nel mondo».  «È una grande sfida culturale»: «l’adesione ai valori di fondo a una società è molto più difficile da conseguire: l’integrazione infatti non è solo il formale rispetto delle regole».

In conclusione il presidente ha sottolineato che accanto ai doveri devono essere riconosciuti anche i diritti: «anche quelli di tipo politico. Se vuoi portare uno straniero a sentirsi a casa propria non puoi negargli il diritto della rappresentanza. Allo straniero non si può dire “devi pagare le tasse” e poi negargli il voto».


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