Welfare

Paradossale: spendiamo di più dove i poveri sono di meno

La Fondazione Zancan analizza l'inefficacia della lotta alla povertà per la quale “spendiamo" 7 euro a testa

di Sara De Carli

L’Italia non sa affrontare la poverta’ come si dovrebbe. È questa la amara conclusione che emerge dal IX Rapporto su poverta’ ed esclusione sociale in Italia a cura di Caritas italiana e Fondazione Zancan, presentato ieri a Roma (vedi la sintesi del Rapporto).

La lotta alla povertà in Italia e’ stata in questi anni una “sconfitta”, per via di “una logica perversa di un assistenzialismo” che sta dando “risultati scarsi”. L’errore di fondo è che quando s’investe per combattere la poverta’, “si tende a dare soldi piuttosto che fornire servizi durevoli nel tempo, piccoli benefici economici che sono solo un palliativo e non la soluzione al problema poverà”. Una scelta che per i due organismi curatori del Rapporto si traduce in una forbice inefficiente tra spesa e risultati: “Cio’ porta gli enti pubblici a investire cifre molto alte per dare una piccola risposta a molti” osserva il Rapporto, citando come sempio i “192 milioni di euro spesi per la carta acquisti, l’abolizione dell’Ici e il bonus elettrico” per cui “solo 91 mila famiglie, su un milione, non sono piu’ povere in senso assoluto”.

Il problema è la scarsa efficacia degli interventi: se in Italia il 24% è a rischio di povertà prima dei trasferimenti sociali, ben il 20% lo resta anche dopo. In Francia, per dire, da 26 passano a 13 e in Svezia da 28 a 11. 

Il divario Nord/Sud
Il primo elemento messo in luce dal Rapporto è lo squilibrio tra Nord e Sud Italia in termini di spesa e di interventi per l’assistenza sociale e, quindi, per la povertà. Nel 2005 i comuni hanno speso 5,7 milioni di euro per l’assistenza sociale, cioè 98 euro per ogni abitante; di questa spesa, il 7,4%, pari a 423 milioni di euro, è stato destinato a contrastare la povertà. Si tratta di 7,22 euro per ogni abitante. Aggregando i comuni per regione, questo dato varia in modo significativo: si va da un minimo regionale di 1,91 euro dell’Abruzzo a un massimo di 21,75 euro, cioè 11 volte di più, di Bolzano. Ecco un’altra «anomalia tutta italiana: si spende di più per contrastare la povertà nelle regioni laddove ci sono meno poveri». Campania, Puglia e Calabria sono infatti sotto la media nazionale con, rispettivamente, 2,54; 4,38 e 5,87 euro pro capite l’anno.

La proposta
Una strada che propone il Rapporto 2009 è trasformare gli attuali trasferimenti monetari (o parte di essi) in servizi da erogare alle famiglie a basso reddito con figli, a titolo gratuito o con una significativa riduzione del costo di fruizione (oggi la retta mensile per l’asilo nido può incidere dal 9% al 16% sul reddito di una famiglia composta da quattro persone). Una strada complementare è negoziare e concertare politiche di diverso utilizzo del fondo per aumentarne il rendimento, riallocare le risorse ottenute, rafforzare la rete dei servizi per la famiglia, ridurre i loro costi, aumentando l’occupabilità nell’area dei servizi per la famiglia.

Un’ulteriore soluzione può essere quella di bonificare e semplificare i percorsi delle erogazioni monetarie. Un esempio: «fare della social card l’unico veicolo di immissione e utilizzo dei trasferimenti monetari, non solo pubblici (ai diversi livelli) ma derivanti anche dalla solidarietà privata». Cosa impedirebbe – si chiede il Rapporto – che oltre allo Stato anche i comuni, i centri di ascolto delle Caritas, delle San Vincenzo… possano caricare soldi, veicolandoli in un unico contenitore? È necessario aumentare la possibilità di controllo delle quantità monetarie immesse per meglio monitorare l’utilizzo di tali trasferimenti e verificare le condizioni di efficacia dell’aiuto prestato. «Mettere soldi nello stesso canale può significare meno perdite, meno sprechi, maggiore controllo e soprattutto maggiore aiuto».


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