Non profit

AAA educatori offresi: perché il voucher a noi non fa paura

Arché debutta nell'assistenza domiciliare minori di Milano

di Sara De Carli

Un’associazione di volontariato, nata per prendersi cura di bambini sieropositivi, da quest’anno è nell’elenco in cui le famiglie milanesi possono scegliere l’educatore a domicilio, pagandolo con i voucher. «Vogliamo portare nei servizi il nostro specifico, un intervento
di comunità» Quell’assemblea del 1995, Jacopo se la ricorda come se fosse ieri. Quando padre Giuseppe Bettoni se ne uscì con quella frase: «La solidarietà non è più una virtù». Jacopo Dalai allora era un volontario di Arché. «Erano gli anni dell’inferno, i bambini sieropositivi erano tantissimi, lo slogan che circolava era crudele, “destinati a morire, condannati a vivere”, anche tra quelli che seguivamo c’era un lutto dietro l’altro», ricorda Jacopo, nel frattempo diventato direttore di una delle quattro sedi dell’associazione, quella milanese. «Tutto sembrava stringere sulla ferita del singolo e invece Bettoni se ne uscì con quella provocazione ad allargare il raggio d’azione, a spingere sulla advocacy, a modificarsi per dare sempre risposte efficaci, a sviluppare capacità imprenditoriale. Sottolineando però che l’organizzazione non deve mai prevalere sulla cultura».

Un voucher per coinvestire
L’onda d’urto di quella provocazione è arrivata fino ad oggi, con la scelta di accreditarsi presso il Comune di Milano per l’assistenza domiciliare minori. «Una svolta importante», spiega Dalai, «che affianca ai volontari un servizio professionale. Con questo anno scolastico siamo entrati nelle “opzioni di scelta” di una famiglia che ha difficoltà nell’educazione dei propri ragazzi». Mettere un educatore accanto a un minore e alla sua famiglia non è cosa nuova: la novità è che da maggio, in Lombardia, ogni famiglia può scegliere presso quale realtà prenderselo. A pagare sono i servizi sociali, ma «in prospettiva lo faranno le famiglie stesse con i voucher, anzi già ora è possibile che qualsiasi famiglia che vuole un aiuto nell’educazione dei figli si rivolga direttamente a noi per acquistare un servizio educativo». La scelta non è scontata per un’associazione di volontariato, tant’è che ha innescato una riflessione su un eventuale sviluppo istituzionale: «La cosa bella è stata condividere il percorso con i volontari, c’era il timore di mettersi in una logica commerciale, di concorrenza, ma d’altra parte il passaggio che la Regione Lombardia sta facendo nell’ottica di un coinvestimento sull’educazione dei figli è ricco di opportunità».
La prima sfida è quella di «portare la nostra specifica cultura dentro i servizi cittadini»: dentro un mondo che frammenta le patologie e le risposte, ribadire che «la fragilità di un bimbo e di un adolescente non può essere rinchiusa su di lui o sulla sua famiglia, ma riguarda la collettività». «Per questo credo che vent’anni di esperienza di volontariato così radicato sul territorio, che segue con continuità 200 famiglie l’anno in tutta Italia, possa dare un tratto specifico al nostro servizio Adm», ragiona Dalai. Cioè «un’impronta legata da un lato a competenze specifiche sul disagio psichico e dall’altro a un intervento di tipo comunitario, perché l’intervento sulla mancanza è estremamente potenziato dall’humus collettivo». È la sperimentazione, se volete nel micro, del welfare di comunità: «Il rischio di un etichettamento sanitario è evidentissimo nell’area del disagio psichico: anche a scuola, all’inizio c’è la disponibilità a uno sguardo d’insieme, ma senza un aiuto a mantenere viva questa attenzione, alla fine tutto si riduce ai farmaci».

Non solo Hiv
Negli anni la presenza di Arché sul fronte psichiatrico è andata crescendo. Ci si è allargati per osmosi, senza soluzione di continuità, perché la fragilità è un puzzle complesso dove si intrecciano problemi sanitari, psichici, di povertà sociale e relazionale e non si può farsene carico a compartimenti stagni. La medicina ha aiutato a ridimensionare il problema sanitario dell’Hiv: oggi in Italia di bambini sieropositivi ne nascono pochissimi, ma quei pochi hanno un contesto di disagi plurali che merita particolare attenzione. I neonati di vent’anni fa oggi sono adolescenti e giovani, cresciuti spesso con i nonni, in un contesto che proiettava su di loro le ombre lunghe di un destino segnato: devono imparare a fare i conti con la loro identità, a proiettarsi nel futuro, a gestire la loro sessualità. «Noi stessi abbiamo imparato ad essere meno chioccia e a lavorare molto sulle risorse», dice Dalai.
Il prossimo progetto, a Milano, è la nascita della Factory di Frequenze a impulsi: uno spazio incontro e una sala prove per adolescenti, gestito da giovani ex utenti del progetto che finora si è svolto nei locali della scuola della Maggiolina, il quartiere dove Arché è nata. Al mixer, la terapeutica normalità di una comunità.


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