Cultura

Quando l’Islam svela il suo volto buono

Un immigrato muore in Italia, il Fondo Inps non anticipa le spese per il rimpatrio della salma a Dakar. A pensarci allora sono gli amici aderenti alla “muridiyya”.

di Joshua Massarenti

«Di fronte alla morte del mio amico, sia il governo senegalese che quello italiano sono rimasti indifferenti. E anche per gli altri problemi sappiamo che è meglio contare solo sulle nostre forze». Mustafa Fall parla con voce pacata. L?analisi lucida e impietosa di questo modu-modudi (commerciante ambulante) di 46 anni riflette in parte l?atteggiamento ancora a noi sconosciuto della maggioranza dei senegalesi che sono ormai saldamente presenti, «ma non radicati», come sottolinea Mustafa, sul territorio italiano (oltre 30 mila residenti nel 1997). L?incidente risale al 15 luglio scorso, quando Modu Beye, lavoratore agricolo dipendente, residente a Mombretto (Mi), muore all?età di 50 anni in seguito a un arresto cardiaco. Una morte banale, passata inosservata di fronte ai drammi estivi delle coste adriatiche e siciliane, ma che segna il destino di una moglie e quattro figli di un quartiere della periferia di Dakar.

Lo sceikh Ahmadu Bamba
Ora, come per ogni extracomunitario deceduto in Italia, giunge il problema del rimpatrio della salma. Sia la rappresentanza ufficiale dei senegalesi residenti all?estero sia il Fondo istituito nel 1986 presso l?Inps (Istituto nazionale di previdenza sociale) per assicurare il rimpatrio dei lavoratori extracomunitari privi di mezzi di sussistenza (ivi compreso il rimpatrio delle salme) sono incapaci di provvedere. Di fatto, il Fondo Inps paga i costi di rimpatrio solo dietro presentazione delle fatture attestanti le spese sostenute dai parenti del morto. Il che, trattandosi in questo caso di un importo non indifferente, pone notevoli problemi.
A colmare questo vuoto istituzionale ha pensato la rete solidale della confraternita muride, che, come ci spiega Mustafa, è «un movimento religioso senegalese potentissimo, fondato alla fine del secolo scorso a Touba, la nostra Città Santa, da Sceikh Ahmadu Bamba, capo religioso carismatico e molto rispettato in Senegal per le sue lotte spirituali contro il potere coloniale francese». Mustafa si autodefinisce «un vero taalibé del muridismo», cioè un adepto di una delle tante confraternite presenti in Italia. Proprio il muridismo aveva così intensamente legato Modu e Mustafa. Provenienti da regioni diverse, «ci siamo presto resi conto che praticavamo nella stessa intensità la nostra fede e che il nostro senso dell?onere e del dovere rispetto alle nostre famiglie era uguale», prosegue Mustafa. Come tanti muride di origine rurale, i due hanno studiato nelle dahara (la scuola coranica), servito con la stessa adempienza i loro rispettivi marabutti o serign (una guida spirituale di una confraternita), osservato un rigoroso rispetto per le altre etnie e professioni religiose allo scopo di applicare l?«unità nella diversità», una dottrina molto radicata in Senegal. E come tanti altri muride oppressi da difficoltà economiche, hanno preso la ?strada dell?emigrante? aderendo a quella che è diventata una vera e propria ?diaspora senegalese?. Modu ha fatto un transito prolungato a Dakar prima di arrivare nella metropoli lombarda, mentre Mustafa ci è giunto direttamente da «un villaggio satellite della potentissima Touba».
Per cinque anni, hanno applicato a Milano quello che ogni muride è chiamato a compiere in terre straniere: guadagnare onestamente per rispondere ai bisogni della propria famiglia, aiutare un parente o un amico residente all?estero, rispettare i rapporti spirituali e materiali che lo legano al proprio marabutto. Ora però, le loro strade si sono separate e a Mustafa non rimane che garantire il ritorno dell?amico alle sue terre e aiutare la moglie a superare un difficile periodo di vedovanza.

I quattro cardini della vita di un muride
Ma è proprio sotto i quattro cardini della vita di ogni muride (nascita, matrimonio, feste religiose e morte) che si cela tutta la potenza di questa confraternita musulmana. Mustafa spiega che a Milano è stata la Dahira Touba, «un?associazione religiosa che riunisce i taajibe per organizzare attività culturali, sociali e informative», con la collaborazione dell?associazione di villaggio Pir (luogo di nascita di Beye) e di altri senegalesi, ad aver finanziato il rimpatrio della salma. E proprio il 21 luglio scorso, giorno di apertura della nuova sede della Dahira di Milano (fondata ufficialmente nel 1991) per festeggiare il ?Grande Magal? (anniversano del ritorno di Bamba dal suo esilio in Gabon), si è puntualmente verificato il fenomeno di solidarietà che pervade la muridiya. Dopo un pomeriggio di canti e preghiere, la giornata si è conclusa con una discussione collettiva sulla morte di Modu. Mustafa ha assistito, impassibile, alla colletta effettuata per il defunto e la sua famiglia. Nello spazio di tre giorni sono stati raccolti venti milioni di lire, di cui otto sono stati destinati al rimpatrio della salma e il restante alla moglie. Scene in realtà già viste, che testimoniano l??informalità? della rete muride in Italia, dove si conta una dahira in ogni nicchia territoriale consistente della comunità senegalese (Brescia, Bergamo, Napoli, Cagliari, Pisa le principali). Scene che si ripetono in altre circostanze come la ricerca di un alloggio o di un lavoro. Certo, il finanziamento della dahira è fondamentale per il suo buon operato. «La raccolta dei fondi», sottolineava ii presidente Kosso Niang, «è importante e avviene attraverso le hadiya (offerte) effettuate ogni settimana e durante le feste religiose nelle quali leggiamo il Corano e recitiamo la qasida, cioè gli scritti di Ahmadu Bamba. Inoltre, ogni taalibé deve versare 120 mila lire all?anno per pagare e mantenere la nostra casa, acquistata [450 milioni di lire – ndr] per riunirci, accogliere decorosamente i marabutti, i nostri capi religiosi, spesso in visita in Italia e dare una mano ai senegalesi che ce lo chiedono».

L?Italia, una tappa verso il paradiso
Certo non tutti i tremila senegalesi residenti a Milano fanno appello a questa confraternita. Molti si rivolgono al consolato senegalese di via Fulvio Testi o ad altre strutture pubbliche della metropoli, ma rimane il fatto che questa rete costituisce il punto di riferimento sociale ed economico principale per i muride di Milano. A dispetto di uno Stato senegalese che, malgrado la volontà di ?gestire? gli emigranti, non ha i mezzi finanziari per farlo (nel ?95 il Senegal ha chiuso le ambasciate di Pretoria, Pechino, Mosca, Brasilia e Berna) e uno Stato italiano che tentenna tra una politica d?integrazione e una d?emergenza, i muride rappresentano, a dieci anni dal loro arrivo in massa in Italia, oltreché la maggioranza del senegalesi qul presenti, una comunità con il pensiero rivolto ancora oggi ai propri familiari e alla propria confraternita, anche perché, come ricorda Mustafa, «il viaggio in Occidente è solo una delle tante tappe della vita che ti portano al paradiso che, per molti di noi, si chiama Touba».

Una dottrina di pace e santificazione nel lavoro

Onnipresente sulle insegne dei negozi di Dakar, il nome di Serign Tuba non è solo sinonimo di uno straordinario dinamismo economico. Il fondatore della confraternita musulmana muride si presenta, in seguito ai due esilii, anche come un?eroe nazionale in Senegal. Grande erudito e addetto della mistica sufista, lo Sceikh Ahmadou Bamba, ha fondato una confraternita (la Muridiyya), basata su una dottrina di pace e santificazione attraverso il lavoro. Considerato, dalla morte di Bamba (1927) fino agli anni ?70, un movimento teocratico agrario, il muridismo ha prosperato sull?arachide, coltura di rendita coloniale, di cui oggi controllerebbe il 60% della produzione nazionale (13% del pnl senegalese). Molti dei due milioni di adepti hanno lasciato i bacini arachidieri alla fine degli anni ?70, in seguito alla crisi agraria, per tentare fortuna nelle città e all?estero (Francia soprattutto), riconvertendosi con successo nel commercio e nei mestieri urbani.
I taalibé, presenti in tutti gli strati sociali e i settori dell?economia senegalese, sono estremamente ?mobili?. Un semplice ndiguël (ordine del capo religioso) ha, nel 1990, riuniti hadiya (doni) per tre miliardi di franchi CFA (nove miliardi di lire), con cui ristrutturare la moschea di Touba. In un Paese al 90% musulmano, tale capacità di mobilitazione ha ripercussioni politiche. Corteggiati dagli uomini politici, al pari dei khalifi (capi religiosi) delle altre confraternite musulmane (tijiane, qadr e layène), i marabutti muride hanno trasmesso, per le presidenziali del 1988 e 1993, degli ndiguëls elettorali in favore dei socialisti al potere dal 1960. Di recente però, la posizione giuridica privilegiata di Touba, «stato nello stato», è stata rimessa in questione con tasse su acqua, negozi e trasporti. La risposta della confraternita è stata immediata ordinando ai taalibé di votare, alle ultime elezioni, secondo ?coscienza?.

Ogni mese mandano a casa mezzo milione di lire

Registrate a partire dal 1990 dall?Uci (Unione italiana cambi) e dalla Banca d?Italia, le rimessedegli stranieri verso i loro Paesi d?origine sono via via aumentate (addirittura quintuplicate tra il ?91 e il ?96) in seguito alla crescita numerica dei titolari di permesso di soggiorno (da 781.138 nel 1990 a 1.179.361 al 30 giugno 1997) e soprattutto per il loro progressivo inserimento nel nostro tessuto socio-economico. Nel 1991, il volume delle rimesse ammontava a 131 miliardi, raggiungendo quota 477 miliardi nel 1996, con un aumento del 18,1% rispetto ai 403 miliardi del 1995. In realtà, i dati ufficiali rappresentano appena la meta dei risparmi mandati dagli immigrati nei loro Paesi. Assommando a queste cifre le rimesse che passano attraverso ?canali non ufficiali? si arriva, secondo stime, a circa mille miliardi di lire. In aumento anche il valore medio annuale pro-capite delle rimesse che da 407 mila lire nel ?95 è passato a 435 mila nel ?96.
Per quanto riguarda invece le rimesse per area di destinazione, primeggia il continente asiatico (38,5% dell?ammontare complessivo), seguito dall?America (132 miliardi, ossia il 27,7%), caratterizzata dal netto dominio degli Usa e Canada rispetto ai latino-americani; l?Europa si piazza al terzo posto con 113.583 milioni di lire superando i 41 miliardi dell?Oceania. Questa ?classifica? non corrisponde però al numero degli immigrati per provenienza continentale: qui prevalgono gli europei con il 38,9% (in prevalenza europei dell?est), seguiti in ordine da africani (28,7%), asiatici (17,8%), americani (14,1%) e oceanici (0,3%). Questa apparente contraddizione risulta dai canali di trasferimento sfruttati dalle diverse comunità etniche: ad esempio, i filippini totalizzano più di un quarto delle rimesse ufficiali complessive grazie a banche di rappresentanza incentivate dal governo filippino, al contrario dei senegalesi, dediti a ?spedizioni autogestite? e/o ?canali religiosi?, e dunque fuggenti ai dati ufficiali.

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