Sostenibilità

L’acqua al veleno di Bussi finisce in tribunale

In cerca di giustizia per i pozzi avvelenati di Sant'Angelo

di Redazione

500mila persone della Val Pescara hanno bevuto tetracloruro di carbonio, tetracloroetilene e tricloroetilene. Uno scempio ambientale senza precedenti. Che è sfociato in un processo. Grazie
alle denunce del WWF
Cloroformio 3.220.000 volte i limiti di legge, tetracloroetano 420.000 volte, clorometano 11.067 volte, dicloroetilene 24.000 volte, tricloroetano 24.500 volte, cloruro di vinile 1.960 volte, mercurio 1.240 volte, tricloroetilene 7.867 volte. Sono questi, secondo quanto riportato nella richiesta di rinvio a giudizio a firma del pubblico ministero Anna Rita Mantini, gli sconvolgenti risultati delle analisi sulle acque di falda a Bussi sul Tirino (PE).
Si tratta del procedimento penale davanti al tribunale di Pescara per uno dei più grandi scandali ambientali europei degli ultimi anni, quello del sito chimico di Bussi con le sue megadiscariche abusive con 500mila tonnellate di rifiuti pericolosissimi scoperte dal Corpo Forestale di Pescara e dalla Procura di Pescara nel 2007, dell’inquinamento della falda acquifera e della contaminazione con solventi dei pozzi Sant’Angelo. Questi pozzi, situati a circa 2 chilometri a valle del sito chimico, per anni hanno fornito acqua a circa 500mila persone della Val Pescara che, ignare fino all’ultimo, hanno bevuto acqua proveniente da pozzi inquinati da tetracloruro di carbonio, tetracloroetilene e tricloroetilene.
L’accumulo di sostanze pericolose e tossiche, alcune delle quali classificate come cancerogene e/o possibili cancerogene per l’uomo, ha infatti portato all’inquinamento della falda profonda fino a 100 metri nel sottosuolo.
«Uno scandalo di portata nazionale», sottolinea Tommaso Navarra, avvocato di Teramo che, insieme al collega Fabio De Massis di Pescara, patrocina il WWF nel processo. «Proprio in Abruzzo, la regione che assume di essere la più verde di Europa, dopo le vicende dei Laboratori sotterranei dell’Istituto nazionale di Fisica nucleare del Gran Sasso, è toccato nuovamente al WWF farsi carico, non facile, di documentare giudizialmente uno scempio ambientale gravissimo che mette a serio pericolo la salute di mezzo milione di cittadini».
Dopo un primo rinvio a luglio, con l’udienza preliminare del 29 ottobre il processo dovrebbe entrare nel vivo: i giudici dovranno valutare se e per quali reati rinviare a giudizio alcune decine di persone coinvolte, secondo la Procura, in un vero e proprio disastro ambientale che richiederà centinaia di milioni di euro per la bonifica.
Il WWF è parte lesa nel processo perché è stato proprio grazie all’azione dell’associazione che due anni fa è emerso l’aspetto forse più inquietante della vicenda, quello della contaminazione dei pozzi Sant’Angelo, oggi definitivamente chiusi: l’associazione ha dovuto portare avanti una dura battaglia a tutela della salute fino ad ottenere che lo stesso Istituto superiore di sanità, accogliendo in pieno le argomentazioni del WWF, dichiarasse quell’acqua «non idonea al consumo umano».
«Il WWF», conclude Tommaso Navarra, «è presente in sede giudiziaria e contribuirà, con passione, competenza e forza, all’accertamento della verità ed alla necessaria applicazione delle sanzioni penali a carico dei singoli responsabili e delle misure di ripristino ambientale».


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