Sostenibilità

Lacrime di coccodrillo

Dal Polesine a Messina, mezzo secolo di incuria e di scelte finanziarie sbagliate

di WWF Italia

Funerali di Stato per le vittime di Messina.
Ma le istituzioni che oggi piangono sono quelle
che hanno dimenticato
di mettere in sicurezza
un territorio sempre più fragile. In cui gli eventi tragici si susseguono.
E subito si dimenticano.
Non sarebbe ora
di rimettere ordine
nelle nostre priorità?
A Messina si sono svolti i funerali di Stato per salutare le vittime del disastro di Giampilieri e di Scaletta Zanclea. Ma lo Stato che (giustamente) ha riconosciuto questo tributo, non è forse lo stesso che dovrebbe garantire la messa in sicurezza del nostro territorio? Bene dunque i funerali di Stato, ma per favore coerenza rispetto alle scelte affinché le lacrime di oggi per alcuni non siano, come ieri, lacrime di coccodrillo.

La mappa dell’oblio
La memoria cancella i ricordi dei disastri del passato, anche di quello più recente. Cancella così anche la memoria di quei morti che ieri, al pari di oggi, abbiamo pianto; persone che scompaiono nell’oblìo collettivo pur rimanendo presenti nel dolore e nel rimpianto di amici e parenti. L’elenco potrebbe essere lungo, lunghissimo. Certo, forse sono lontane le 84 vittime del Polesine del 1951 o le 35 dell’alluvione di Firenze del 1966, ma chi ricorda, ad esempio, le 268 persone scomparse nel 1985 in Val di Stava? E le 70 dell’alluvione del Piemonte del 1994, le 160 di Sarno nel 1998, le 13 di Soverato del 2000? I nomi di questi luoghi ci evocano situazioni che immediatamente ricordiamo, ma la “litania” dei morti è infinita, fatta di centinaia e centinaia di situazioni letteralmente passate nel dimenticatoio. Chi ricorda più, sempre ad esempio, le 4 vittime di Bivona in Calabria? Eppure era solo il 2006.
Sono molti, troppi, i casi come quello del bambino e la nonna annegati nel 1992 a Genova per lo straripamento del torrente Bisagno. Un calcolo fatto all’Apat (oggi Ispra – Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale) stima che negli ultimi 80 anni il nostro Paese sia stato coinvolto in 5.400 alluvioni e 11mila frane e smottamenti. E a parte i morti, i feriti, gli sfollati, i danni valutati sono immensi. Sempre l’Apat ha stimato (nel 2004) che negli ultimi 20 anni siano stati spesi circa 15 miliardi di euro per gli interventi di post emergenza.

I costi della sicurezza
Una parte del dibattito di queste settimane si è concentrata su quanto costerebbe la messa in sicurezza del Paese. Il calcolo relativo al solo assetto idrogeologico (cioè relativo alle aree perimetrali, con diverso grado di rischio, nei 5.581 comuni che hanno documentato la presenza di aree interessate da fenomeni franosi o alluvionali) porta un stima di circa 35 miliardi di euro. Così almeno ha dichiarato il ministro del Lavori pubblici, Altero Matteoli, ma così avevano stimato anche la Protezione civile e l’ex Apat. Una cifra certamente enorme, ma proviamo a riflettere. Innanzitutto si tratta di una cifra che andrebbe erogata in un tempo medio-lungo. Va poi fatta una reale valutazione degli interventi, alcuni dei quali sono a costo zero o quasi. Non costa soldi infatti prevedere l’inedificabilità assoluta delle aree di pertinenza fluviale, né costerebbe moltissimo affidare alle autorità di bacino il compito di stabilire le aree programmate per le esondazioni in caso di piena. Certo occorre garantire che gli appetiti edificatori dei Comuni si mettessero una volta da parte, ma se non si riesce neppure a garantire questo la partita è persa in partenza. È poi vero che sono necessari interventi puntuali, e su questo indubbiamente occorrono risorse diverse da quelle che in via ordinaria vengono affidate al ministero dell’Ambiente per la difesa del suolo. Occorre allora scegliere le priorità su cui mettere le poche risorse economiche del Paese.
Viaggiare sulla Freccia Rossa delle Ferrovie dello Stato è un piacere. In questi giorni fa però riflettere che l’Alta Velocità in Italia dal 1992 è costata, interamente a carico dei contribuenti, una cifra analoga a quella necessaria per la messa in sicurezza del Paese. Ed ancora: per molteplici motivi il ponte sullo Stretto a parere di molti (WWF compreso) non si dovrebbe fare anche se avessimo risorse enormi a disposizione, ma certo fa pensare che gli unici soldi veri oggi per questo disponibili sono 1,3 miliardi di euro che vengono dall’Europa (fondi Fas) destinati al Mezzogiorno e certo altrimenti spendibili. Insomma, abbiamo oltre un miliardo di euro e non interveniamo per mettere in sicurezza fiumare e città che su queste sono state scelleratamente costruite (come Messina e Reggio Calabria). E intanto, giusto per aggiungere un’annotazione tutt’altro che di colore, Messina continua ad avere il proprio ospedale civile non in regola sotto il profilo antisismico. Che importa, tanto il ponte potrà reggere (dicono) ad un terremoto di forza pari a quello del 1908.

Trama e ordito
Restituiamo il senso di priorità alle cose, oggi più che mai. I cambiamenti climatici in atto hanno fatto sballare ogni calcolo di previsione idraulica sulle portate dei fiumi poiché la quantità di pioggia che cade in un dato spaziotemporale è diventata imprevedibile. Occorre restituire dunque al nostro territorio la capacità di reggere agli eventi estremi, di “adattarsi” a questi, restituire naturalità e dunque flessibilità. Questa è l’opera pubblica primaria, la prima ed assoluta, che dovrebbe essere programmata e posta in essere.
Una tela si costruisce costruendo una trama su una base che si chiama ordito. È un po’ così anche la gestione territoriale. La trama è costituita da quello che vogliamo fare, dalle costruzioni, dall’agricoltura, dalle infrastrutture, dalle edificazioni urbane; l’ordito è il territorio su cui tutto ciò poggia. Nessuna trama però potrà reggere su un ordito instabile o compromesso. Possiamo bisticciare dunque su quella che dovrebbe essere la trama migliore per il nostro Paese, su cosa costruire e realizzare, ma bisticciare sull’ordito è da folli o da criminali. Si trovi dunque un’unità d’intenti nel nome di tutti coloro che, certo quasi mai per responsabilità loro, hanno perso la vita in situazioni che dovevano e potevano essere prevenute.

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