Sostenibilità

Gli smemorati dello Stretto

Vizi antichi e improvvidi progetti tra Messina e Reggio

di Redazione

Vi spiego perché questi morti sotto il fango non cambieranno le cose Non illudiamoci: i morti di Messina, anche quelli ancora sepolti dal fango, sono stati già dimenticati. Non sono bastate centomila vittime del terremoto di cent’anni fa per far costruire in maniera antisismica sulle due sponde e volete che una quarantina di annegati e seppelliti dall’alluvione di giovedì 1° ottobre possano far cambiare idea a chi ha progettato nuove case o edifici pubblici nel letto delle fiumare, o su colline giudicate a rischio da geologi frustrati? Tanto, dovrebbe essere ormai chiaro, il rischio riguarda sempre la casa degli altri, mai la propria. E soprattutto, il rischio è sempre di là da venire, mentre i soldi arrivano prima.
Ieri è capitato a Sarno, poi a Soverato, a Crotone, a Bivona, oggi a Messina. Tutto dipende da dove si fermano le nuvole: se i cumuli avessero attraversato lo Stretto, roba di qualche chilometro, sarebbe toccato di nuovo alla Calabria, ma il risultato sarebbe stato identico. Qualche ora di pioggia abbondante (e per favore, vista la frequenza, smettiamola di dire che sono eventi “eccezionali”) e i paesi trascinati a mare sarebbero stati quelli che Messina la vedono dalle piazze e ora, anziché citare il destino inesorabile dei conterranei di Verga, avremmo, come al solito, rispolverato lo “sfasciume pendulo” di Giustino Fortunato e le pagine di Corrado Alvaro.
Quante lezioni deve ancora impartire la maestra Natura agli alunni separati dallo Stretto? Che ci vuole? Un altro terremoto del settimo grado Richter con maremoto al seguito? Qualche intero paese che si sbriciola? Qualche altra collina che si scioglie nella melma? Possibile che gli scolaretti calabri e siculi siano tutti smemorati?

Ma che c’entra il Ponte?
«E che c’entra il Ponte?». Così ha risposto il ministro Matteoli ai contestatori dell’opera faraonica criticata anche da Napolitano (a meno che il presidente, non si sa mai, non si riferisse all’Expo di Milano o al Mose di Venezia?).
Ma sì, cosa volete che sia un ponticello di tre chilometri, teso tra le due sponde più mobili d’Europa, cosa volete che siano anni e anni e anni di sbancamenti, interi quartieri trasferiti, buchi nelle montagne, milioni di tonnellate di terra da buttare di qua e di là, per la modica cifra di 12mila miliardi del vecchio conio (così ci capiamo meglio), mentre per rimettere a posto il territorio ci vogliono troppi soldi e, tutto sommato, costa di meno qualche funerale di Stato e qualche casetta prefabbricata.
Quisquilie, pinzillacchere, una sciocchezza, niente, al confronto del vantaggio di arrivare (ammesso che ci si arrivi), dieci minuti prima su una sponda piuttosto che sull’altra. Se poi, attraversata l’ottava meraviglia del mondo, si dovrà attendere un po’ per le operazioni di soccorso dopo l’ennesima alluvione, frana, o cataclisma che ha cancellato qualche paese, per favore nessuno si spazientisca. Un po’ di rispetto per i morti.


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