Sostenibilità

Navi a perdere, vent’anni di orrori e di silenzi

Un appello del WWF per un'operazione trasparenza

di Redazione

Il mare che diventa una discarica di rifiuti tossici. Traffici internazionali gestiti dalla criminalità. Imbarcazioni fantasma finite sott’acqua.
Denunce, inchieste giudiziarie e giornalistiche. E la politica?
Da oltre vent’anni i mari di mezzo mondo sono utilizzati come discariche per i rifiuti e le sostanze più pericolose che l’uomo produca: diossine, mercurio, metalli pesanti, sostanze radioattive. E, visto che l’Italia è un Paese industrializzato e si trova nel mezzo del Mediterraneo, è stata (e forse è tuttora) allo stesso tempo vittima e colpevole dei traffici internazionali di rifiuti tossici, realizzati attraverso le navi divenute tristemente famose come “navi dei veleni”.
Le vicende sono tante, e per alcune sembra di leggere la trama di un film. È invece purtroppo tutto vero e documentato. Ad esempio, risale al 1988 la grottesca vicenda della nave Zanoobia, che salpa dal porto di Massa Carrara con un carico di 2mila tonnellate di scorie velenose e che riapproda a Genova dopo aver solcato per un anno e mezzo i sette mari ed essere stata respinta da numerosi Stati, che non hanno voluto accogliere un carico così pericoloso.
In molti altri casi di queste navi si sono invece perse le tracce e sono diventate navi fantasma, dove i pirati sono una vera rete criminale internazionale che gestisce i traffici illeciti via mare di rifiuti pericolosi e radioattivi, con intrecci e connivenze tra criminalità organizzate, apparati (anche questi fantasma) di molti governi, industriali e faccendieri. Il tesoro è costituito dai milioni che le industrie risparmiano, disfacendosi di scorie che altrimenti sarebbe molto più costoso smaltire in maniera lecita, e dai milioni che guadagnano i trafficanti. Questi traffici hanno purtroppo avuto spesso come base di transito e di origine l’Italia. I riscontri sono ormai consolidati ed acquisiti in documenti ufficiali delle commissioni parlamentari che hanno indagato su questi fatti criminali e di diverse procure italiane.
Nel silenzio delle istituzioni, un’importante opera di inchiesta è stata svolta dal settimanale L’Espresso, con articoli pubblicati sin dal 2004 da Riccardo Bocca. In particolare sul caso di un altro “incidente” ad una nave italiana, avvenuto il 14 dicembre 1990 sulla costa di Amantea (Cosenza), su cui la procura di Paola aveva riaperto un procedimento (dopo 13 anni di indagini delle procure di Reggio Calabria e Lamezia Terme), con ipotesi di reato che andavano dal tentativo di affondamento doloso all’occultamento di rifiuti tossici e radioattivi. La vicenda giudiziaria, nella quale il WWF Italia aveva chiesto la costituzione di parte civile per l’accertamento dei reati ambientali, è poi però finita in un nulla di fatto.
Il WWF ha appena lanciato una “operazione trasparenza” consegnando ai presidenti delle commissioni parlamentari competenti – e mettendo online – il lavoro di indagine e ricerca svolto in 15 anni ed una nota con otto richieste per affrontare la piaga del traffico internazionale di rifiuti tossici, ad iniziare dalla richiesta di un provvedimento urgente che metta a disposizione mezzi economici e tecnici per la messa in sicurezza e la bonifica dei relitti delle “navi a perdere” (vedi a pag. VI).


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