Mondo

Sorpresa: anche Obama tifava Rio

Un patto fra Washington e Lula impegnava chi fosse uscito dalla gara anticipatamente a sostenere l'altro. Così è stato. Anche perché entrambi hanno da guadagnarci

di Paolo Manzo

Ogni giorno 830 jet privati attraversano in lungo e in largo i suoi cieli. Decine di concessionarie autorizzate lo scorso anno hanno registrato la maggior vendita di Ferrari. Ben quattro negozi di Tiffany e tre di Bulgari. Non c’è un caso simile in tutto il pianeta, senza contare che nel 2008 il fatturato più alto la Louis Vuitton l’ha fatto proprio qui. No, non siamo negli Emirati Arabi, ma in Brasile. E nel caso specifico nella sua capitale finanziaria, la megalopoli di San Paolo, 19 milioni di abitanti. Ma lo scenario è sempre lo stesso nelle città infinite del Paese verde-oro. Come la splendida Rio, con i suoi appartamenti da un mille metri quadrati con vista su Copacabana in vendita a cifre stratosferiche. È proprio da qui che bisogna partire per capire perché l’Olimpiade 2016 sia stata assegnata al Brasile e a Rio. Da un boom economico che ricorda da vicino quello italiano degli anni 60, alla faccia della crisi planetaria. Qualche settimana fa il ministro dell’Economia Guido Mantega, uno dei tanti italo-brasiliani che siedono nei posti chiave del Paese, ha annunciato di «avere prestato all’Fmi 10 miliardi di dollari attraverso l’acquisto di sue obbligazioni». Della serie: adesso i soldi ve li prestiamo noi.
Certo, in Brasile ci sono ancora molti poveri – 50 milioni su una popolazione di 200 – ma per la prima volta hanno diritto a un sussidio che gli permette di aumentare i consumi, e l’accesso al credito non è mai stato così facile come adesso. Negli ultimi tre mesi, infatti, proprio i crediti concessi dalle banche sono cresciuti del 14% rispetto al trimestre precedente e il Pil del 2010 prevede aumenti del 5%. Una panacea anche per molte industrie italiane che proprio dal gigante sudamericano traggono la maggior parte dei profitti. Basti pensare alla Fiat che ha in Brasile il suo primo mercato al mondo, con una crescita esponenziale favorita dalle recenti misure del governo Lula tra cui una tassazione zero per gli utili reinvestiti.
Ma oltre al boom economico che spiega in parte quello sportivo, il Brasile oggi è diventato anche una potenza geopolitica a livello mondiale. Grazie alle sue sette visite ufficiali in Africa da quando è presidente, cui se ne sommano una cinquantina in America latina e 10 in Asia, Lula è oggi in grado di vantare un credito politico universale che forse neanche Obama possiede. Senza dimenticare che all’ultimo G20 di Londra Lula ha avuto l’investitura proprio dal presidente statunitense – «questo è il politico numero uno», gli disse Barack Obama, che si affida oramai al Brasile in un’area, a dire il vero, di scarso interesse per Washington, in tutte altre faccende affaccendata (Iran, Asia, Medio Oriente, crisi interna, ecc). Insomma, proprio il Brasile è diventato lo “stabilizzatore” del subcontinente e, oggi, ricopre il ruolo che un tempo era degli Usa. La dimostrazione più recente di questo “passaggio di consegne” è stata la crisi in Honduras, che sta per essere risolta proprio grazie ad un’inedita “muscolarità” della diplomazia verde-oro che ha sì difeso il presidente deposto Mel Zelaya, ospitandolo nella sua ambasciata, ma gli ha fatto anche capire che a comandare nell’area è Brasilia e non il Venezuela di Chávez. Di questo Obama è assai grato a Lula, anche perché la difesa in prima persona di Zelaya avrebbe attirato su Barack accuse di essere filochavista e, magari, filocastrista. Di certo il legame geopolitico incentrato sull’asse Washington-Brasilia è servito anche in Danimarca, dove Rio e Chicago erano d’accordo nell’appoggiarsi a vicenda in caso di eliminazione anticipata di una delle due candidature. Cosa poi puntualmente avvenuta. Anche per questo, dunque, Rio ospiterà i Giochi del 2016.


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