Non profit

Cara Cei, i poveri chiedono di pi

I dubbi di un lettore sull’uso dell’otto per mille fatto dalla Chiesa Italiana

di Riccardo Bonacina

Secondo i dati contenuti nel recente disegno di legge sul bilancio di assestamento 1998 oltre il 99% dell’8 per mille dell’ultimo gettito Irpef è andato alla Conferenza episcopale italiana (e non al Vaticano come qualcuno erroneamente crede). I vescovi italiani hanno incassato, infatti, 1.589 miliardi sui 1.740 disponibili; 140 miliardi, purtroppo, sono andati allo Stato italiano che in anni passati non ha certo utilizzato questi proventi per i previsti scopi sociali e umanitari (il colmo fu quando proprio il vostro settimanale rese noto che parte dei fondi dell’8 per mille allo Stato furono utilizzati nel 1995 per spese generali e telefoniche di vari ministeri), e i restanti spiccioli, 11 miliardi, alle altre confessioni religiose (ebrei, avventisti, valdesi, ecc.). Di fronte a questi numeri poderosi e così poco pubblicizzati non mi scandalizza il fatto che tanti cittadini italiani abbiano, come chi scrive, fiducia nella Chiesa italiana, ciò che mi fa specie è che la Conferenza episcopale italiana abbia aspettato i veleni e i sospetti suscitati dal caso Giordano per cercare di dare qualche precisazione in più, non molte per la verità, su come vengono spesi quei 1600 miliardi, qualche precisazione in più di quelle brevi liste della spesa contenute nei messaggi pubblicitari e promozionali. Le poche informazioni disponibili riguardo all’utilizzo del gettito ’97, alla Cei andarono 1.384 miliardi, non erano peraltro tranquillizzanti. Uno come me, infatti, fa fatica a capire perché di quella cifra sia stato destinato solo il 20% alla carità organizzata dalla Chiesa in Italia (132 miliardi) e nel mondo (140). Tanto più per chi è ogni giorno a contatto con sacerdoti e suore che buttando il cuore oltre l’ostacolo riescono a rispondere ai bisogni di chi incontrano solo con la forza della fede e senza disporre di una lira una. Anzi ho conosciuto suore e sacerdoti alla fame che pur riescono a sfamare chi è povero come loro. Di fronte a queste esperienze mi chiedo che senso abbia usare 100 milioni dell’8 per mille per finanziare la tv via satellite cattolica Sat 2000 che nessuno vede, che senso abbia che la Cei versi qualche decina di milioni nel capitale della società che edita il settimanale Liberal. Avete risposte? Rosario Campo, Catania Risponde R. Bonacina: Caro lettore personalmente sono nemico di una visione pauperistica della Chiesa. Del resto la povertà della Chiesa sin dalle sue origini non risiedeva nella sua mancanza di beni, ma nella sua capacità di condividere beni e ricchezze tra gli stessi fedeli e tra i fedeli e ogni uomo che tendesse la mano. È quindi non solo necessario ma addirittura opportuno che la Conferenza episcopale italiana si preoccupi anche dei muri delle chiese, delle opere dei cristiani, del sostentamento dei circa 200 mila religiosi e religiose presenti in Italia e che spesso sono gli unici punti di riferimento per gli uomini e le donne di questo Paese. A questo proposito sarebbe utile leggere il recentissimo e interessante libro del professor Giorgio Fiorentini e di Sergio Slavazza “La Chiesa come azienda non profit” (ed. Egea). Fatta questa premessa concordo con tutti i suoi rilievi sulla quota non generosissima che la Cei destina alla carità organizzata da esperienze ecclesiali in Italia e nel mondo, incontrando spesso come lei sacerdoti e religiose che non sanno con che mezzi tirare avanti e per la verità preoccupati non tanto per la loro sussistenza ma dal non riuscire a fare abbastanza di fronte ai bisogni. Concordo anche, parer mio e personalissimo, sulla non congruità dei finanziamenti alla tv Sat 2000 operazione che sino ad ora è servita più a distribuire generose collaborazioni e buone uscite a quegli intellettuali e giornalisti che di testimonianza cristiana sono già stati avari quando erano sulle plance di comando dei canali o dei tg Rai o di molti giornali italiani, che a dare testimonianza cristiana vera e sentita.


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