Non profit

Federalismo fiscale? In Italia va a passo di gambero

Luca Antonini parla del tema chiave di Bertinoro

di Maurizio Regosa

Da quando è partito il processo, il personale dello Stato
è aumentato del 2,6%, quello locale è calato del 6,8. Un brutto trend. Che costa caro, In particolare al terzo settore Tra le riforme, è la più attesa. Il federalismo fiscale avrà un sicuro impatto sulla vita di ognuno, produrrà effetti concreti sul welfare, responsabilizzerà gli amministratori locali e chiuderà l’epoca di mezzo. Quella di un percorso avviato nove anni fa e mai concluso. Un’interruzione che penalizza. Per spiegare quanto, il professor Luca Antonini cita un rapporto di Unioncamere Veneto: «Tra 2000 e 2008, periodo della partenza del cantiere federalista, in Italia il personale delle amministrazioni centrali è salito del 2,6% e quello degli enti locali è diminuito del 6,8. In Spagna è accaduto il contrario: il personale statale è diminuito del 32,2% e quello delle comunità autonome aumentato del 43,8». Una «dinamica inaccettabile» di cui parlerà alle Giornate di Bertinoro (il 16 ottobre) e che lo preoccupa anche da presidente della Commissione tecnica sul federalismo fiscale (si è insediata da poco per lavorare sui decreti legislativi).

Vita: Cosa significa questo dato?
Luca Antonini: All’inizio degli anni 80 la Spagna era in una situazione simile alla nostra, con un’esplosione di debito pubblico risolta con il federalismo fiscale, che è partito seriamente. Da noi invece lo Stato non si è ridimensionato, gli enti locali non sono stati responsabilizzati. Oggi la spesa – al netto degli interessi e del debito pubblico – si divide fra Stato ed enti locali. Regioni, Province e Comuni hanno un potere di spesa del 50% e una autonomia impositiva pari all’11%. Il che vuol dire che gli enti locali spendono perché, poi, c’è comunque un pagatore.
Vita: Siamo rimasti in mezzo al guado?
Antonini: È così. Le conseguenze sono evidenti nella sanità: quattro Regioni del Sud sono commissariate. Lì c’è un modello, contrario rispetto a quello costruito al Nord, fondato sugli ospedali con pochissimi servizi territoriali. Una sanità che costa molto e non funziona. Se ci fosse l’autonomia impositiva, non ci sarebbe più il pagatore di ultima istanza: i conti li si farebbe con gli elettori, il territorio e le risorse.
Vita: Per il non profit che potrebbe voler dire?
Antonini: Dovrebbe guadagnarne. In un contesto di federalismo fiscale, certe logiche politiche, magari clientelari, dovrebbero venir meno. Anche perché l’idea è configurare un’autonomia che valorizzi la sussidiarietà orizzontale con politiche locali molto più libere.
Vita: E là dove il volontariato e l’associazionismo sono deboli?
Antonini: La leva fiscale può essere uno strumento per valorizzare l’esistente e per promuovere una realtà che non c’è. Potrebbe nascere un Big Bang per il terzo settore. Se ci sono benefici fiscali, è più facile che nasca una non profit.
Vita: Quali i primi passi della sua commissione?
Antonini: In Italia ogni Regione ha una legge di contabilità, ogni Comune indica come vuole le esternalizzazioni. Questo ostacola l’elaborazione di dati contabili reali. Nella federalista Germania c’è una regola contabile unica. L’autonomia deve essere sulle scelte, non sulla contabilità. Altrimenti si va contro la responsabilità e la trasparenza.
Vita: Che cosa occorre?
Antonini: Occorre una«lingua di contatto» che uniformi il sistema dei conti pubblici, in modo che si possa cominciare a fare simulazioni fondate.
Vita: Il secondo passo?
Antonini: Il federalismo demaniale, cioè il trasferimento dei beni dallo Stato agli enti locali: Regioni, Province e Comuni. Oggi i beni sono gestiti a livello centrale, che magari non sa neanche dove sono. L’idea è trasferirli ai territori e togliere i vincoli di destinazione. Ad esempio una caserma non può essere venduta, ma se è vuota il vincolo è inutile. Una volta sciolti questi nodi, si entrerà nel merito di ridisegnare il sistema.


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