Volontariato

stranieri disabili, una bomba che fa canestro

Il progetto di Marco Calamai

di Sara De Carli

A Bologna una squadra di basket diventa laboratorio multiculturale Il 27 settembre, all’avvio del campionato di basket a Bologna, i primi a scendere in campo sono stati i ragazzi di Marco Calamai. Solo qui sono 110 i ragazzi con disabilità intellettiva che frequentano i suoi allenamenti (e 450 in tutta Italia): «Per i servizi sociosanitari locali siamo la prima realtà esterna, con notevole sgravio economico», dice l’ex allenatore di serie A, da 15 anni convertito alla pallacanestro integrata. «Più benessere, meno farmaci, meno assistenza».
La novità è che quest’anno, sotto le casacche blu della Over Limits Fortitudo, spuntano facce e mani e gambe di tanti colori. Sono i ragazzi del Navile, quartiere che Calamai definisce «di frontiera no, ma disagiato sì». Il 31% dei ragazzi iscritti ha un cognome straniero. Un terzo non può pagare i 25 euro mensili dell’iscrizione. Tutti hanno un certificato di handicap intellettivo. In ogni caso «gente che non sarebbe mai andata ai servizi come utente, pur avendone bisogno, ma che siamo riusciti a coinvolgere come giocatori».
Le famiglie, che prima si ignoravano, ora fanno capannello durante gli allenamenti: è già qualcosa. La scommessa è che sul campo da basket possa nascere quell’integrazione che la società non riesce a fare: Calamai è certo di aver già vinto. Primo nella storia, lui ha fatto giocare insieme l’autistico, lo psicotico e il normodotato: un mix potenzialmente esplosivo, che invece ha sempre e solo portato a galla riserve nascoste. Per questo non teme l’aggiunta di altre variabili, come differenze di pelle e di cultura: «La valorizzazione delle differenze sta alla base di tutto il mio metodo». Non c’è letteratura, d’accordo. Ma qualcuno dovrà pur buttare la palla.


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