Sostenibilità

Il clima presenta il conto

La Banca mondiale quantifica i costi del global warming per i Paesi poveri

di Rose Hackman

Due gradi in più porteranno a una perdita del 5% del Pil ogni annoQuattrocento miliardi di dollari ogni anno in misure di mitigazione, investimenti annuali intorno ai 75 miliardi di dollari per adattarsi ai cambiamenti e una perdita tra il 4% e 5% del Pil nazionale. Ecco le conseguenze economiche segnalate dalla Banca mondiale in un report del 15 settembre. Le dovranno affrontare i Paesi in via di sviluppo negli anni a venire se verrà superata la famosa soglia dei due gradi in più.
Ormai la maggior parte della popolazione mondiale, leader compresi, dovrebbe avere acquisito molta familiarità con questi famosi due gradi che sono stati fissati come soglia di riscaldamento planetario oltre la quale le conseguenze per l’ambiente diventerebbero catastrofiche. Lo scenario previsto non è per niente promettente: condizioni climatiche sempre più estreme e imprevedibili, innalzamento del livello dei mari, ecosistemi instabili con conseguenze come migrazioni di massa, catastrofi naturali, etc.
Meno noto però è quello che è stato esplicitamente sottolineato nel report della World Bank intitolato «World Development Report 2010 – Development and Climate»: il raggiungimento della soglia di due gradi avrà come conseguenze dei costi enormi che cadranno principalmente sulle spalle dei Paesi più poveri. Infatti, secondo il report, i Paesi in via di sviluppo dovranno sopportare tra il 75% e 80% dei costi direttamente causati dal cambiamento climatico, e questo nonostante il fatto che la colpa non sia loro. «I Paesi in via di sviluppo sono sproporzionalmente colpiti da una crisi che non hanno provocato e per la quale non sono assolutamente preparati», ha spiegato il giorno della presentazione del report il presidente della Banca mondiale, Robert Zoellick.
Il bisogno urgente di agire subito viene messo in risalto con una minaccia direttamente finanziaria e il verdetto è chiaro: più aspettiamo più i costi di sopravvivenza saranno alti. Nelle parole dell’economista capo del dipartimento di Sviluppo sostenibile alla Banca mondiale: «Il prezzo del rimandare o dell’inazione è molto alto».
Quattrocento miliardi di dollari annuali solo in misure di mitigazione pagati dai Paesi ricchi ai poveri dal 2030 se i primi non fanno marcia indietro subito? Oggi la finanza di mitigazione conta solo per un totale mondiale di 8 miliardi l’anno. Il costo delle misure prese per respingere o adattarsi – last minute – ammonterà invece a 75 miliardi di dollari l’anno contro meno di 1 miliardo disponibile oggi.
«La crisi finanziaria globale non può essere utilizzata come scusa per ritardare l’azione per confrontare il cambiamento climatico», dice il report, «perché è probabile che la futura crisi climatica sia ancora più dannosa per l’economia mondiale». Forse su questo non si sono ancora decisi i politici, ma l’opinione pubblica sta facendo una svolta di massa. In un’indagine recente della rivista americana Time, i cui risultati sono stati rivelati nel numero del 21 settembre 2009, quasi la metà degli americani interrogati affermano che la questione dell’ambiente dovrebbe avere la priorità su quella della crescita economica.


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