Sostenibilità

Copenhagen, sfida finale ai nemici dell’accordo

Il conto alla rovescia verso il vertice decisivo sul clima

di Redazione

Copenhagen si avvicina, le trattative per il nuovo accordo globale sul clima diventano frenetiche, ma la situazione è in stallo e il rischio che si arrivi nella capitale danese con tutte le questioni ancora aperte, con veti incrociati, con l’attesa sino all’ultimo che gli altri facciano la prima mossa si fa pressante. La società civile mondiale comprende l’enorme portata della sfida, le iniziative si moltiplicano, tutti sono coscienti che la vera speranza che il problema dei cambiamenti climatici venga affrontato in modo efficace ed equo è nella pressione dell’opinione pubblica sui governi. Lo hanno capito anche coloro che cercano di ostacolare l’accordo, e campagne più o meno sotterranee sono in corso per fermare il trattato, o per lo meno annacquarlo quanto possibile. A Copenhagen si potrebbe decidere di dare il via a un futuro in cui l’umanità possa vivere in armonia con la natura e cogliere la sfida del clima per vivere con maggiore equità e solidarietà; un risultato inefficace dei negoziati di Copenhagen moltiplicherebbe le minacce alla sicurezza globale e comporterebbe costi significativi per la salute, lo sviluppo, l’ambiente e le economie, con il pericolo di un futuro di lotta e sopraffazione, conflitti e fenomeni di portata inimmaginabile. Naturalmente i poveri del mondo soffrirebbero le conseguenze più drammatiche, loro che dell’aumento esponenziale di gas serra non hanno alcuna colpa.
Affrontare la sfida del clima, oltretutto, rientra nell’interesse nazionale di ogni Paese, tanto più di quelli privi di fonti energetiche non rinnovabili e inquinanti proprie (petrolio, carbone in primis, ma anche l’uranio) come l’Italia. Impegnarsi affinché nel dicembre di quest’anno a Copenhagen si giunga a un equo, ambizioso e vincolante accordo sul clima non è dunque solo un dovere, è anche una opportunità storica. Un valido accordo di Copenhagen dovrà essere direttamente collegato alla crescita economica, alle opportunità d’investimento e alla creazione di posti di lavoro, con un percorso di sviluppo a basse emissioni di carbonio. Tale percorso risulta indispensabile per la creazione di future economie resilienti (cioè capaci di affrontare le difficoltà e superarle traendo addirittura un vantaggio) e sostenibili. Si prevede che, entro il 2050, il valore dei mercati mondiali dei prodotti energetici a basse emissioni di carbonio si aggirerà sui 500 miliardi di dollari l’anno, sempre che il risultato dei negoziati mandi al mercato segnali inequivocabili. 
La società civile chiede con forza di giungere a un accordo sul clima valido e legalmente vincolante per il periodo dopo il 2012, emendando il Protocollo di Kyoto e concordando un nuovo Protocollo di Copenhagen. Occorre riaffermare la necessità globale di mantenere l’innalzamento della temperatura ben al di sotto del limite dei 2°C rispetto ai livelli del 1990, come dichiarato al G8 dell’Aquila. Inoltre, occorre impegnarsi perché il picco delle emissioni globali di carbonio venga raggiunto al massimo entro il 2017, per poi declinare rapidamente, al fine di ridurre, entro il 2050, le emissioni globali almeno dell’80% rispetto ai livelli del 1990. I Paesi industrializzati devono imboccare con decisione la strada, e fissare le tappe, per arrivare alle “emissioni zero” entro la metà di questo secolo, con un primo passo costituito da una riduzione delle loro emissioni del 40% rispetto ai livelli del 1990. Ma bisogna anche facilitare la transizione dei Paesi in via di sviluppo verso economie a basse emissioni di carbonio, con le nazioni industrializzate che aiutino e sostengano tale transizione con fondi adeguati, stimati in 160 miliardi di dollari per finanziare le azioni di mitigazione e di adattamento e consentire l’accesso alle tecnologie pulite. Occorre anche prevedere dei fondi da stanziare subito per supportare un’azione immediata per l’adattamento ai cambiamenti climatici dei Paesi in via di sviluppo. Va perseguito (e raggiunto) l’obiettivo “deforestazione zero” entro il 2020.


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