Welfare

Nel 2010 oltre 35 mln di malati nel mondo

Un incremento del 10 per cento rispetto alle stime di soli quattro anni fa.

di Antonietta Nembri

Sempre più malati di Alzheimer nel mondo. La demenza raddoppierà la sua incidenza ogni 20 anni. L’anno prossimo saranno oltre 35 milioni le persone che a livello mondiale soffriranno di demenza. A comunicarlo, in occasione della XVI Giornata mondiale Alzheimer (che si celebra il 21 settembre) è l’Alzheimer’s Disease International (Adi) presentando il Rapporto mondiale sulla malattia di Alzheimer 2009. I numeri dell’Adi denunciano un incremento del 10% rispetto alle stime di soli quattro anni fa fatte dalla rivista scientifica The Lancet che ne aveva stimanti 26,6 milioni. In base al rapporto Adi i numeri sono destinati a raddoppiare nei prossimi 20 anni, portando il numero dei malati di demenza a 65,7 milioni e a ben 115,4 milioni nel 2050. 

Le ragioni d questo incremento, secondo gli studiosi, vanno ricercati nella disponibilità di nuovi dati provenienti dalle nazioni a basso o medio sviluppo economico, in effetti, le stime di crescita relative agli Stati Uniti sono in linea, mentre quelle riferite all’est asiatico sono inferiori, un incremento significativo lo si registra inceve per l’Europa dell’Est, l’America Latina e l’Asia del Sud. «La demenza è un’emergenza sanitaria che non può essere ignorata» dice Marc Wortmann, direttore generale dell’Adi. «Se non sarà tenuta sotto controllo comporterà oneri enormi per le persone, le famiglie, le strutture sanitarie e per l’economia globale». L’auspicio dell’Adi è che ogni nazione intervenga sia migliorando e sostenendo i servizi di cura e assistenza ai malati sia aumentando gli investimenti nella ricerca. Su questo fronte, Australia, Corea, Francia e Inghilterra hanno già varato piani nazionali Alzheimer. Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia si batte perché anche il Governo italiano riconosca il carattere di emergenza della malattia che «continua a essere sottovalutata e le risorse dedicate alla cura, ai servizi, all’assistenza, e alla ricerca sono insufficienti. Se vogliamo definirci un paese civile è indispensabile e urgente che il governo vari un piano nazionale con le politiche sanitarie che tengano conto delle reali dimensioni della malattia» conclude Salvini Porro.
La dememnza ha dei costi economici molto elevati: in Italia, secondo quanto emerge dall’indagine Censis, il costo medio annuo per paziente è stato calcolati in circa 60mila euro l’anno tra costi diretti e indiretti, questi ultimi (il 75,6%) a carico di 8 famiglie su dieci.
In Europa, in base anche a un recente studio di Alzheimer Europe, finanziato dalla Commissione europea (Eurocode), le persone con demenza sono 7,3 milioni, contro i 6,5 milioni che erano stati stimanti negli anni scorsi.

Questi dati e non solo sono stati al centro del convegno “Biografia non solo biologia” organizzato dalla Federazione Alzheimer Italia con la Fondazione Golgi Cenci. L’obiettivo era quello di suggerire nuovi orientamenti terapeutici e nuove modalità di approccio al malato di Alzheimer. Al centro del dibattito, quindi le speranze offerte dalla medicina narrativa che ha come punto centrale della relazione di cura la biografia del paziente, cioè il racconto delle storie di vita del paziente e i progressi raggiunti nel campo della biologia dalle banche del cervello attraverso lo studio dei tessuti cerebrali.
«Essendo stato un banchiere del cervello alla Brain Bank della John Hopkins University sono consapevole dell’importanza che l’esame del tessuto cerebrale ha per la comprensione dell’invecchiamento cognitivo, ma le storie di vita sono più importanti» ha osservato Peter J. Whitehouse, professore di neurologia alla Case Western Reseve University di Cleveland negli Stati Uniti. L’esperto statunitense ha raccontato quanto sta avvenendo a Cleveland dove è partito un progetto di Storybank ovvero una banca delle storie. «Le nostre biografie sono più importanti della nostra biologia, anche se abbiamo bisogno di entrambe» ha proseguito osservando che i modelli medici basati unicamente sulla biologia genetica riduzionistica non permettono alla società di rispondere adeguatamente alla crescente sfida internazionale della demenza. «volete che il vostro medico conosca prima di tutto la vostra storia o il vostro Dna?» ha chiesto Whitehouse riportando l’esempio della scuola intergenerazionale aperta insieme alla moglie nel 2000, una scuola pubblica sperimentale dove studenti di tutte le età lavorano insieme, sono circa duecento i ragazzi che aiutano gli anziani con demenza lieve o moderata attraverso il lavoro e il gioco per un’ora al giorno. Diversi i vantaggi tra cui un miglior comportamento sociale dei giovani. Tra i primi risultati citati dal professor Whitehouse vi è un miglioramento nella psicodegenerazione.

Al convegno  insieme con l’esperto statunitense erano presenti: Antonio Guaita, geriatra e direttore della Fondazione Golgi Cenci; Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia; Gianluigi Forloni, capodipartimento Neuroscienze dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri; Alberto Spagnoli, psicoterapeuta e direttore dipartimento Psicogeriatria presso il Centro S. Ambrogio Fatebenefratelli di Cernusco sul Naviglio; Giovanni B. Frisoni, neurologo e vicedirettore scientifico presso l’IRCCS Fatebenefratelli di Brescia.
In particolare Antonio Guaita ha presentato lo studio che la Fondazione Golgi Cenci avvierà con la collaborazione della Fondazione Alzheimer su tutti i residenti di Abbiategrasso (centro in provincia di Milano) nati tra il 1935 e il 1939 (circa 1.700). Lo studio partirà entro la fine dell’anno e queste persone saranno valutate sotto il profilo sia biografico sia sia biologico e rivalutate ogni due anni. Un gruppo di queste persone, inoltre, sarà invitato a partecipare ad attività periodiche di stimolo cognitivo e fisico per valutarne gli effetti a breve e lungo termine.


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