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L’addio del piccolo Simone

La foto del figlio di due anni di un parà morto a Kabul commuove l'Italia

di Franco Bomprezzi

Un bimbo di due anni col basco di parà in testa commuove l’Italia e intenerisce anche i giornali, diventando il simbolo di questi giorni di lutto e di riflessione sul significato della strage di Kabul.

Sotto il titolo di apertura “Simone commuove l’Italia”, il CORRIERE DELLA SERA nel giorno dei funerali (oggi alle 11 a Roma) dei 6 parà uccisi a Kabul, mette in prima pagina la foto di Simone Valente, due anni, con in testa il basco del papà Roberto. Scrive il CORRIERE: «È in braccio alla mamma, saluta con la manina e con la sua voce acuta strilla: Ciao papà». Commenta Isabella Bossi Fedrigotti: “Quel basco in testa che stringe il cuore”. Angelo Panebianco firma invece l’editoriale (“Un impegno sul terrorismo” – le ragioni della missione in Afghanistan). Ragiona Panebianco: «Come ha osservato Emma Bonino (Il Riformista, 19 set­tembre) il nemico ascolta, ec­come: ci ascoltava quando, al­l’epoca del governo Prodi, la sinistra estrema minacciava sfracelli se non ce ne fossimo andati presto dall’Afghanistan e oggi ascolta le dichiarazioni (poi rettificate) di Umberto Bossi. Per questo, tali questio­ni non possono essere trattate dai partiti come se fossero fac­cende interne. Ciò non signifi­ca che non si debba partecipa­re, insieme agli alleati, a una riflessione collettiva su come fronteggiare le nuove, sempre più difficili, condizioni del conflitto in Afghanistan. Al di là di eventuali revisioni di stra­tegia militare o politica, c’è un dirimente punto politico, co­me ha notato Sergio Romano, sul Corriere del 19 settembre, e come ha riconosciuto il mi­nistro della Difesa Ignazio La Russa (Il Corriere , 20 settembre): si tratta di rinnovare ogni sforzo affinché al Paese torni ad essere ben chiara la posta in gioco. Non è solo un problema italiano. E’ un pro­blema europeo. Oltre che in Italia anche in Gran Bretagna, in Francia, in Germania, in Spagna, nelle opinioni pubbli­che tende oggi a prevalere la richiesta di ritiro». E aggiunge: «È il senso della presenza europea in quel tea­tro che è andato perduto. Va urgentemente (ri) spiegato al­le opinioni pubbliche che una vittoria talebana a Kabul desta­bilizzerebbe il Pakistan, e il fondamentalismo islamico tornerebbe a galvanizzarsi ovunque (anche in Europa). E’ per evitare che i kamikaze si mettano all’opera qui da noi che siamo in Afghanistan». Lorenzo Cremonesi nel suo pezzo a pag 5 parla di un video della strage che sarebbe stato girato col telefonino dal caporale Ferdinando Buono, anche lui rimasto ferito nell’attentato: «In genere in queste circostanze si cerca di fare aria ai sopravvissuti, li si libera degli elmetti, dagli oppressivi giubbotti antiproiettile, non ha senso chiuderli in uno spazio ristretto. «Ha senso invece se i sopravvissuti sono sotto attacco — ci hanno ripetuto più tardi alte fonti Isaf-Nato coinvolte nell’inchiesta —. Ormai abbiamo la prova evidente che, dopo l’esplosione dell’auto kamikaze, alcuni uomini hanno fatto fuoco con armi automatiche contro gli italiani. Lo stesso caporale Buono, da sotto il mezzo, ha avuto la prontezza di riflessi di girare un video per alcuni minuti con il suo telefonino portatile. E quel video è una prova irrefutabile dell’attacco. Sono immagini confuse, sfocate. Però validissime e sono accompagnate da un audio drammatico. Si sentono gli spari degli aggressori, colpi singoli, quasi cadenzati, per due o tre minuti, seguiti dalle raffiche dagli italiani». Le urla degli italiani sono inequivocabili: «Ho la mano aperta, ho la mano aperta», grida una voce. Eppoi: «Ci sparano, ci sparano. Giù, giù, giù a destra. Pezzi di merda!».

LA REPUBBLICA apre con “L’Italia piange i parà uccisi” e dedica ampio spazio all’accoglienza che i militari hanno ricevuto dal paese. Dalla folla fiori e biglietti, bandiere esposte e una grande commozione. In particolare il piccolo Simone ha colpito tutti: ad appena due anni a accolto la bara del padre insieme agli adulti. C’è un pezzetto di Conchita Sannino: “Ma Roberto mi aveva chiesto: alla mia bara solo tu e Simone”. Riferisce della decisione di Stefania Giattanasio, moglie del sergente maggiore Roberto Valente, di portare con sé il figlioletto: la sua presenza dava coraggio alla vedova ed esaudiva l’ultimo desiderio del padre. «Ho provato dispiacere a non poter superare gli inevitabili schieramenti, le formalità anche giuste, i picchetti d’onore e di non poter esaudire il desiderio di Roberto. Ma devo ringraziare il calore che ho sentito, e l’esercito per assistenza psicologica e l’aiuto morale», spiega. Il taglio con cui LA REPUBBLICA sceglie di commentare gli esiti della missione in Afghanistan è però decisamente internazionale. A pagina 4 Federico Rampini intervista Moises Naìm: “Obama vi chiederà altre truppe l’Europa rischia più dell’America”. L’esperto militare spiega che con 68mila militari americani, questa missione nata per impedire ad Al Qaeda di usare l’Afghanistan come base operativa è diventata altro: «questa è una forza di occupazione. Non più solo mobilitata contro Al Qaeda, ma contro i Taliban, e contro i signori della guerra, e contro i padroni dell’oppio»; «la preoccupazione numero uno a Washington non è più l’Afghanistan: è stata superata dal Pakistan… fa più paura. Ha il settimo esercito al mondo. Ha le armi nucleari. Ha i servizi segreti infiltrati dai fondamentalisti islamici. È frammentato e intere regioni sfuggono al controllo centrale». L’Europa sarebbe più in pericolo degli Usa (dove dopo l’11 settembre non ci sono più stati attentati) e non se ne rende conto è la conclusione di Naìm. Subito dopo, è la volta di Obama: “Presto per mandare rinforzi i soldati Usa in Afghanistan non resteranno all’infinito”. Il presidente Usa, intervistato dalla Cbs, difende la sua proposta di riforma sanitaria, ribadisce che l’impegno in Afghanistan è legato alla lotta contro Al Qaeda e spiega: «la mia priorità è una: che cosa dobbiamo fare per proteggere il popolo americano e il suo suolo? L’Afghanistan e il Pakistan sono elementi critici di questo processo… Quello che non voglio accada è ritrovarci a dover continuamente inviare altri soldati, investire altri soldi e altre risorse senza aver prima controllato e verificato come funziona il tutto. Non mi pongo scadenze per la presenza americana ma non sono uno che crede nell’occupazione a tempo indeterminato di altri paesi».

Simone Valente commuove e spinge IL GIORNALE a celebrare il giorno dei funerali di Stato partendo da questo bambino di 2 anni perché «nel giorno del lutto la sua vitalità è un dono. Ora non lo sa ma andrà orgoglioso di suo padre – scrive  Cristiano Gatti – Simone si merita una Nazione che prenda le decisioni in nome di grandi ideali» Gatti poi accende i riflettori sulle questioni aperte : «I problemi della droga, dell’alcol, della violenza allo stadio esistono se ci scappa il morto. Un modo di ragionare dannatamente all’italiana: mai sul principio, sempre sulla retorica e l’onda dell’emotività. Abbiamo un concetto delle spedizioni militari altamente puerile: vorremmo andarci, purchè non parta un colpo. Quando poi  si scopre  che in giro per il mondo hanno un’altra idea di guerra, che fanno sul serio,  allora non ci sta più bene. Il papa di Simone stava fuori da queste teatro: era un soldato, faceva il proprio dovere. Lui e i suoi colleghi  da anni ci vanno  credendo sia giusto andarci. Anche se sanno che può scapparci il morto. Ecco a parziale ricompensa il piccolo Simone si merita per domani un’Italia così come quella impersonata  da suo padre: un’Italia dignitosa, dove si possono prendere certe supreme decisioni sulla base delle grandi idee non delle piccole convenienze». Una pagina, la 6, dedicata al caso del prete di Rovagnate. Don Giorgio de Capitani, che prima sul suo blog ha definito mercenari i caduti e poi nell’omelia della messa di domenica li ha apostrofati come criminali e farabutti. Don Giorgio pare non stia molto bene, a quanto si legge nelle dichiarazioni raccolte sul posto da Luca Fazzo. In ogni caso la curia di Milano ha preso le distanze.

La cronaca su LA STAMPA dell’arrivo delle salme a Ciampino sottolinea il tacere delle polemiche: quelle sul ritardo dell’arrivo «basterebbe sapere che un aereo del genere deve fare almeno due scali tecnici» e soprattutto quelle della Lega, che ha chiesto il rientro dei soldati italiani entro Natale. Ieri però il ministro La Russa ha annunciato che al momento del voto del prossimo decreto di rifinanziamento «la Lega non si impunterà, perché tutto si può immaginare tranne il fatto che non dotiamo i nostri soldati delle migliori condizioni per poter compiere il loro lavoro». Articoli a parte, commossi, sul piccolo Simone col basco amaranto del papà in testa e sulla presenza, alla camera ardente, di tre dei feriti scampati all’attentato. Nelle due pagine successive, sotto la testatina “i retroscena” si affiancano tre articoli. Francesco Grignetti ricostruisce l’assalto, con ancora i dubbi se davvero dopo l’esplosione c’è stata una sparatoria sui mezzi Isaf: «sarebbe un attacco complesso in pieno centro, un salto di qualità nelle tattiche taliban». Giacomo Galeazzi sottolinea il cambio di prospettiva della Chiesa tra questi funerali e quelli dei caduti di Nassirya: dalle «esequie neocon» di Ruini a queste celebrate dall’ordinario militare per sottolineare «il legame di popolo e la condivisione della Chiesa con l’esperienza che vivono i militari impegnati in Afghanistan e in altre parti del mondo». Infine Emanuele Novazio firma un pezzo politico in cui raccoglie prospettive per il post: sia a destra che a sinistra «cade il tabù del peacekeeping pacifista» con la Bonino che invoca un approccio regionale, con una Conferenza internazionale con Iran, Tagikistan, Uzbekistan, Cina e Pakistan.

E inoltre sui giornali di oggi:

INFLUENZA A
CORRIERE DELLA SERA – “«Mia sorella prima stava bene. Tutta colpa dell’influenza A»” titola il CORRIERE riprendendo le parole della sorella della donna morta sabato a Messina. «Ep­pure certi ministri dovrebbe­ro dire la verità, invece di na­sconderla per non creare il pa­nico. La gente deve sapere che questa è una brutta in­fluenza che può avere conse­guenze molto gravi», dice Giu­sy Russo, sorella di Giovanna, riferendosi forse alle parole pronunciate durante l’estate dal ministro Sacconi a propo­sito del virus: «Non c’è alcuna ragione di preoccupazioni eccessive». Giusy Russo è un medico e negli ultimi dieci giorni è sem­pre stata accanto a Giovanna: «E invece c’è da preoccuparsi. Mia sorella non fumava, non aveva broncopolmoniti pre­gresse, nessuna patologia si­stemica che potesse non giu­stificare una non risposta ai farmaci somministrati. I medi­ci che hanno cercato di curar­la sono stati bravissimi». La certezza è che Giovanna Russo aveva contratto il virus A H1N1: «Dove e come non si sa», afferma il primario di Ria­nimazione del Papardo, Tani­no Sutera.

LA STAMPA – Appello dell’Onu sulla pandemia: l’influenza ucciderà milioni di persone nei paesi poveri senza una risposta rapida da parte delle nazioni ricche. L’Onu chiede un miliardo di dollari per acquistare farmaci antiretrovirali e vaccini: in ben 85 paesi non c’è alcun modo di procurarsi i vaccini. Per il momento solo alcuni paesi, tra cui Gran Bretagna e Usa, hanno accettato di destinare almeno il 10% dei vaccini prodotti ai paesi che più ne hanno bisogno.

SANTANCHÈ
IL GIORNALE – L’apertura dedicata all’aggressione alla Santanchè occupa le pagine 2, 3 e 5. Ieri a Milano, in via Procaccini, sede  scelta dal centro islamico di viale Jenner per l’ultima preghiera del mese sacro, la Santanchè era presente e manifestava contro il burqa. Sulla vicenda l’editoriale di Vittorio Feltri «L’episodio in sé non è tragico, ma molto grave per il suo significato paradigmatico della situazione. Tre  giorni fa  un cuoco marocchino uccideva a coltellate la figlia perché fidanzata a un italiano e viveva all’Occidentale, ieri la Santanchè  è stata malmenata  perché protestava pacificamente  contro il burqa indossato dalle donne islamiche. In Italia è in vigore la legge 152 che vieta a chiunque di coprirsi il volto in pubblico e il burqa è di fatto il modo per nasconderlo rendendo non identificabile la persona». E infine il direttore del GIORNALE auspica: «è il momento di esigere trasparenza dei bilancio delle moschee e un registro dei predicatori».

ONLUS
SOLE24ORE – Sono pronte le linee guida dell’Agenzia per le Onlus, più volte annunciate, sulle raccolte fondi. Contengono indicazioni sulla quota dei fondi che dovranno andare ai beneficiari finali dei progetti delle associazioni: il 70%. Un eventuale scostamento dovrà essere indicato e motivato in sede di rendicontazione. Previsto inoltre uno speciale «documento della trasparenza» con tutte le informazioni relative alle campagne di raccolte fondi, compreso il responsabile del fundraising. Non è prevista invece alcuna attestazione di conformità da parte del’Agenzia, che, come sottolinea Zamagni, non ha questi potere perché non è un’authority.

AMBIENTE
LA STAMPA – Charlotte Casiraghi, 23 anni, principessina di Monaco, ha il cuore verde. Domani a Biella presenta il primo numero di «Ever manifesto», una rivista ecologica gratuita che mette insieme ambiente e moda, che non ha scadenza fissa ma sarà distribuita in luoghi e date strategiche come le sfilate milanesi e in Corso Como. La stessa Charlotte, che veste solo jeans senza tinture tossiche «sono il capo d’abbigliamento più inquinante che ci sia», ha intervistato per questo numero Franca Sozzani. La rivista (presto sul sito www.EVERmanifesto.com) è finanziata da Loro Piana e sarà presentata al CittadellarteFashion. Bio ethical sustainable trend, voluto da Michelangelo Pistoletto e Franca Sozzani.


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