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Al Qaeda sfida l’Onu
Esplose due auto kamikaze nella base dell'Amisom. Un giornalista italiano racconta la dinamica dell'attentato
Un duplice attentato kamikaze ha colpito ieri in Somalia la base del contingente militare africano Amisom (la forza di peacekeeping dell’Unione africana supportata dall’Onu) che si trova vicino all’aeroporto di Mogadiscio. Il bilancio è di 21 vittime, fra cui il generale ugandese Juvenal Niyonguruza, numero due del contingente. 17 i caschi verdi uccisi, più 4 civili. Altre quaranta persone sono state ferite.
«Pochi giorni fa eravamo a Mogadiscio, proprio nell’area occupata dall’Amisom, perché considerata la più sicura della città» dice al telefono da Dubai Ugo Borga, giornalista italiano che insieme ad altri due colleghi ha appena trascorso dieci giorni nella capitale della Somalia raccogliendo interviste e documentazione su quanto sta accadendo nell’ex colonia italiana. «Eravamo gli unici giornalisti occidentali a Mogadiscio, e siamo riusciti a entrare e a lavorare in città grazie a una persona che ci ha aiutato e della quale non possiamo rivelare l’identità per ragioni di sicurezza». Dal momento dell’attentato Borga è in collegamento costante con la propria fonte a Mogadiscio. «Due mesi fa sono state rubate due vetture Onu. Oggi si sono presentate davanti al check point del contingente Amisom, ciascuna aveva a bordo solo il conducente. Sono state fermate per i controlli di prassi ma hanno accelerato all’improvviso forzando il blocco. Hanno percorso circa 200 metri per poi esplodere al centro del compound». Nella base era in corso una riunione tra ufficiali del contingente Amisom ed esponenti del governo transitorio somalo.
Il duplice attentato è stato subito rivendicato da Al Shebaab, milizia islamica di giovani combattenti. Il gruppo ha dichiarato che si trattadi una vendetta dopo il bliz americano che qualche giorno fa ha ucciso il kenyota Ali Saleh Nabhan, uno dei leader della formazione al Shebaab ricercato per essere tra i responsabili degli attentati del 1998 contro le ambasciate Usa in Kenya e Tanzania. «La dichiarazione conferma al di là di ogni possibile dubbio il legame di questo gruppo somalo con Al Qaeda» commenta Borga. «A Mogadiscio siamo riusciti a intervistare tutti i capi delle fazioni in guerra e dei gruppi armati, ma Al Shebaab è inavvicinabile».
Il giornalista conferma che è altissima la tensione a Mogadiscio. «Nei giorni della nostra permanenza là sentivamo continue esplosioni e i combattimenti erano giornalieri».
I circa 4.500 “caschi verdi” di Uganda e Burundi presenti in Somalia appoggiano il governo di transizione, guidato dal presidente, Sharif Sheikh Ahmed.
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